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"La Vedova in Vuoti Nuziali". La coreografa Marianna Miozzo alla ricerca del desiderio delle donne

Domenica 25 novembre nella Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, va in scena presso lo Spazio Fattoria della Fabbrica del Vapore di Milano “LA VEDOVA in Vuoti nuziali”, di Marianna Miozzo/Dancewoods. La performance rientra nell’ambito di th!nk p!nk, rassegna sull’universo femminile diretta da Francesca Penzo di Fattoria Vittadini, e denuncia con sarcasmo la precarietà della felicità e del desiderio. Recensito ha incontrato Marianna Miozzo, coreografa e interprete di questa creazione realizzata con il supporto artistico dell’attore e regista Riccardo Palmieri.

Marianna, in che modo il tuo lavoro rende omaggio alla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne?

Prima ancora di parlare di violenza mi sono interrogata sulla femminilità, sul desiderio femminile, inteso come generatore di "movimento verso...". In che modo si manifesta questo movimento? E che posto occupa nella società in cui vivo? Che connessione o disconnessione c'è tra il desiderio femminile e il posto che prende nella mia cultura?
Nella performance ho lavorato concentrandomi sullo scarto che c'è tra il desiderio e il modo in cui questo poi si riflette nei rapporti con l'altro.
Ne emerge un desiderio frustrato.

"La Vedova" parla di vuoti, di presenze che diventano assenze. Il corpo con il suo movimento non fa altro che riempire un vuoto, lo spazio. Come si traduce ciò nel linguaggio coreografico, ovvero, come può il corpo-sostanza-presenza divenire vuoto-assenza?

Più che riempire i vuoti, La Vedova li sposta, li sfugge. E' la figura della donna che vuole identificarsi con i codici del femminile stabiliti dalla società, il cui intento è quello di schivare l'incontro col vuoto. Nella performance ho indagato questo aspetto non solo dal punto di vista corporeo; nel mio linguaggio, è evidente che non esiste una scissione tra corpo, testo, voce e stati emotivi. Ho sempre concepito questi linguaggi performativi come un'unico universo. Quindi, nel lavoro, emerge la ricerca goffa, e direi grottesca, del proprio desiderio, passando necessariamente attraverso la percezione di un'assenza.Vuoti 2

Quale aspetto della tua formazione è maggiormente rintracciabile nella tua performance?

La mia formazione è stata in gran parte accademica e molto rigorosa. Paradossalmente, non appare niente di ciò in questo lavoro. Posso dire, però, che una compagnia argentina con cui ho lavorato per diversi anni ha avuto molta influenza sul mio approccio a questa performance. La Cabra Cia, è stata una delle mie prime esperienze lavorative e la considero in parte anche formativa.
Vedo riflesso il linguaggio performativo che viaggia tra l'onirico e lo show, il rapporto tra corpo, voce, parola e improvvisazione. Nel lavoro di compagnia ci veniva richiesto di considerare questi
aspetti durante le produzioni.

Il tuo lavoro parla di una perenne alternanza di emozioni contrastanti che vanno da una struggente malinconia al cinismo più dissacrante. Da cosa deriva la scelta di quest'opposizione?

Lei attraversa diversi stati emotivi apparentemente contrastanti tra loro ma, scorrendo in modo fluido, è come se l'uno portasse all'altro, come se provenissero da una stessa fonte. Dalla risata al dolore del parto, dal pianto al canto. Questo si può definire in un certo senso il meccanismo utilizzato nella composizione. Le azioni e i diversi stati emotivi non si susseguono a partire dal loro senso, ma dalla loro dinamica e dal movimento interno.
Roberta Leo
23/11/2018


Roberta Leo
23/11/2018

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