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Cosmica Reflex di Rafael Y. Herman al Macro di Testaccio

Il mistero è tale perché molte volte non è riconoscibile a prima vista. Infatti guardare i dieci grandi formati di Rafael Y. Herman esposti al padiglione A del Macro di Testaccio sotto il titolo “The Night Illuminates The Night”, potrebbe portarci ad apprezzare i tagli, i colori sbiaditi, l’utilizzo della pellicola e del tradizionale processo analogico, senza aggiungere troppo alla mostra di un bravo fotografo. Invece è tutt’altro che una semplice esposizione di fotografie. Dietro queste grandi immagini, stampate peraltro sul supporto della carta fotografica politenata, si nasconde un processo concettuale interessante che da un po’ di anni traccia l’identità stilistica di questo artista israeliano.herman2

La semplicità è complessa” afferma ossimoricamente Herman. Nelle sue foto si nasconde infatti una verità più lunga e annodata: le foto sono insospettabilmente delle notturne, e quelle che vediamo sono immagini la cui luce è stata catturata dal diaframma per una notte intera. Ciò che si ottiene quindi è - apparentemente - un’atmosfericità diurna. Nessun trucco, nessuna manipolazione. Anzi, l’analogicità della macchina fotografica è più presente che mai nella sua funzione. Con questo senno in più, la vista di queste fotografie acquista tutto un altro fascino.

herman3Quello della riflessione sul mezzo - come ha detto Stefano Rabolli Pansera, uno dei due curatori assieme a Giorgia Calò - è il pretesto per condurre il significato del lavoro dell’artista a una questione ontologica piuttosto che estetica. Un corollario che ha prontamente definito da sempre l’arte concettuale. Le foto di Herman non sono propriamente belle da vedere. O almeno non sono soltanto questo. Non c’è bisogno di stare lì davanti a contare i particolari che è riuscito a catturare esaltando la genialità dello scatto. Non si può parlare di scatto, di scelta del taglio, o per di più di luce. Perché Herman nemmeno vedeva cosa catturava la sua macchina. La riflessione sul mezzo è quindi l’azione che lascia trapelare la natura sulla macchina, un gioco di lenti dove la meccanica della Reflex [definita così per la riflessione dell’immagine sullo specchio e il pentaspecchio] si allarga alla luna, che riflette la luce del sole che illumina l’immagine. Potremmo quindi definire il lavoro di Herman il risultato di una cosmica Reflex, dove cosmici sono i colori, i mezzi e i tempi utilizzati. E lo sono anche i luoghi, quelli di una millenaria e indefinibile Terra Santa, l’Israele come terra che identifica l’artista dopo una gran fetta di storia dell’arte.

Emanuela Platania 27/01/2016

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