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Francisca Berton racconta a Recensito il suo spettacolo “Sin volver la cara”

Il 23 maggio all’Auditorium andrà in scena l’originale spettacolo “Sin volver la cara” della Compagnia Algeciras Flamenco, diretto e ideato da Francisca Berton. Un lavoro interessante, una performance frutto di collaborazioni, che si pone l’esigenza di trattare temi attuali. Uno spettacolo teatrale che fonde concerto e composizioni coreografiche attraverso spunti narrativi mediati dal flamenco. “Sin volver la cara” racconta con diversi tableaux, le emozioni che pervadono gli Esseri Umani nelle diverse occasioni di separazione: dalla tradizione, dalla madre, dall’amore, dalla propria Terra. Il Flamenco che per sua stessa natura è il risultato di influenze varie, fa da comun denominatore all’interno dello spettacolo, in cui convivono contaminandosi anche altre forme di musica, di danza e di espressione. In questa intervista sulle pagine di Recensito la coreografa e regista Francisca Berton ci illustra nei dettagli il percorso di composizione di storia ricca di viaggi, separazioni e di ritorni. 

Come nasce “Sin Volver la cara”?
“Lo spettacolo nasce dalla esigenza di trattare temi che mi stanno particolarmente a cuore e che vediamo e viviamo ogni giorno.”

E’ uno spettacolo sulla separazione e le emozioni che questa suscita sugli esseri umani. Come rende ciò in scena?
“Ogni scena dello spettacolo è un quadro; il trait-de-union è rappresentato da una fotografia, una di quei ritratti di famiglia in bianco e nero che molti di noi hanno, che rappresenta la “memoria”, la possibilità di attraversare le distanze spazio-temporali e di abbatterle, di ricordare per poi ritornare alla attualità.
Nella prima scena quattro uomini vestiti da soccorritori, come siamo
ormai abituati a vederne in tv quotidianamente, riposano; uno di loro trova una fotografia, unica testimonianza che lo rende depositario della memoria di quel passaggio, testimone suo malgrado di un brandello di storia.
Da qui comincia tutto...”

La prima forma di separazione e’ la nascita. Quali sono le altre?fra1
“Dalla propria terra, dalla tradizione, dall'amore, dalla vita”

Che cos’è per lei la separazione?
“La separazione è un inizio; può essere un passaggio molto doloroso, ma apre alla possibilità del cambiamento, alla possibilità di cercare un miglioramento della propria condizione, assecondando e potendo esprimere al massimo sé stessi.
Basti pensare alla separazione dell'artista dalla propria opera d'arte, qualsiasi forma essa abbia: può essere difficilissimo, ma soltanto attraverso di essa l'artista può comunicare ciò che desiderava ed essere riconosciuto come tale dal resto del mondo.
Nel flamenco, per fare un altro esempio, come in altri ambiti, la tradizione rappresenta le fondamenta su cui si può costruire un nuovo stile, che più ci rappresenta, perché più vicino alla sensibilità contemporanea e più calzante con la realtà attuale. Ma non è un abbandono, è una separazione; e per separarcene, dobbiamo conoscere la tradizione ed amarla. Tradere (che in latino significa consegnare, trasmettere), è la radice etimologica di più parole: tradizione, traduzione. Jorge Luis Borges sosteneva che non esistono traduzioni errate ma solo traduzioni figlie del proprio contesto storico.
Caterina Lucia Costa veste il ruolo di “tradizionale” in questo spettacolo: d’altronde è una artista che tra le prime in Italia
ha avvicinato ed amato il flamenco, fino ad “importarlo” dalla Spagna ed a sostenere l’inizio di una
nuova possibilità di espressione artistica.”

Comune denominatore dello spettacolo e’ il flamenco , danza che è attraversata da diverse influenze. Che ruolo e che funzione ha all’interno di questo lavoro?
“Con il flamenco io ho trovato il mio linguaggio in generale. Mi piace curiosare e vedere altre cose, ma poi torno sempre al flamenco, a vedere gli spettacoli, ad ascoltare la musica, a fare lezioni come maestra e come allieva. Mi piace troppo!
Perciò, in questo spettacolo ha un ruolo fondamentale, è il canale espressivo mio e della compagnia, ma senza mettere limiti alla Bellezza! E' per questo motivo che abbiamo inserito una scena con un brano in dialetto salentino, musica popolare italiana, un accenno di pizzica. La tradizione autoctona e facente parte del tesoro culturale del Mediterraneo, che abbiamo individuato per la sua immediatezza espressiva e come testimone della separazione dalla Terra che in passato è avvenuta anche in Italia.”

Per quanto riguarda la musica? Che tipo di musica accompagnerà questo spettacolo e che valore avrà ?
“La musica non soltanto accompagna, ma fa parte integrante del flamenco.
Inoltre, ho scelto di inserire dei brani di musica elettronica, che Bruno Marocchini ha creato ad hoc, e questa scelta è dovuta alla volontà che abbiamo di sperimentare continuamente, cercando, anche attraverso un ambiente sonoro più contemporaneo e condiviso, l'ambientazione più consona alla nostra riflessione ed alla creazione.
Nel quadro dedicato al patrimonio italiano, la musica non può che essere di ispirazione popolare italiana.”

Oltre al flamenco, ci saranno anche altri generi di danza?
“La danza contemporanea sicuramente fa parte integrante di questo spettacolo.
La pizzica è l'omaggio che dedichiamo all'amato Sud Italia.”

Una performance che combina varie forme espressive per trattare ed affrontare tematiche attuali. Cosa speri possa arrivare al pubblico?
“Spero che le persone che vedranno questo spettacolo si sentano chiamate in causa, che si sentano protagonisti: senza avere la presunzione che tutto ciò che metteremo in scena venga recepito così come era nella mia testa, spero che ognuno abbia la propria interpretazione delle scene, la propria scena preferita o quella meno, che ognuno trovi il proprio spunto di riflessione. E, soprattutto, spero che riusciamo a suscitare momenti di bellezza e di arte.”

E’ un lavoro polifonico e corale, un itinerario sonoro. Come ha operato dal punto di vista registico per fondere le diverse arti?
“Ho scritto, immaginato, parlato. Per dare inizio ad un lavoro di questo tipo è necessario stabilire prima di tutto degli ottimi rapporti per potersi poi capire quando necessario.
Poi mettere insieme come le tessere di un mosaico il tutto è stato più facile di quello che mi aspettassi.”

Progetti futuri?
“La preparazione del saggio-spettacolo di fine anno accademico dei corsi sarà la cosa più importante a giugno.
Poi tournée estiva.
E a settembre la mia amata Spagna.
Non vedo l'ora!”

Maresa Palmacci 10-05-2018

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