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“Un giornalista sportivo prestato alla letteratura”: Marino Bartoletti parla di Luciano Bianciardi

Per una giornalista alle prime armi (qual è chi scrive) è un’emozione grandissima parlare con una personalità importante come Marino Bartoletti, incredibile giornalista sportivo, scrittore e conduttore italiano, che ha segnato delle tappe importanti per la storia del giornalismo del nostro Paese. Un grande intenditore della parola, in grado di scegliere e selezionare accuratamente qualunque vocabolo, riuscendo ad esprimere nella maniera più semplice e sobria anche contenuti complessi. Quando si sta per intervistare un personaggio tanto stimato e stimabile, è normale che ci si prepari lungamente, nell’intento di non essere banali o approssimativi, ma allo stesso tempo che si inizi la chiacchierata con la consapevolezza che l’emozione avrà la meglio, che la voce magari tremerà leggermente, che le mani saranno incerte. Cose che Bartoletti ha probabilmente conosciuto bene quando si è trovato faccia a faccia con Luciano Bianciardi, il suo scrittore preferito, nel capoluogo lombardo, quanto aveva solo ventun anni.
Il 12 giugno parlerà del suo rapporto con l'importante scrittore grossetano a "I Luoghi del Tempo - Festival di suoni, storie, sapori in Maremma", manifestazione che, alla dodicesima edizione, celebra proprio il centenario della nascita di Bianciardi: “Mi è stato chiesto – racconta Bartoletti – di parlare di Luciano Bianciardi. Forse neppure loro potevano sapere quanto affetto ci fosse da parte mia nei suoi confronti, per tanti motivi personali. Ero un suo lettore, avevo vent’anni e volevo fare il giornalista. Ho messo in piedi un giornalino di pallacanestro e, seguendo l’orma di Giovanni Brera, cercai di coinvolgere tutti gli scrittori che avevo in qualche modo conosciuto. Scrissi a Bianciardi chiedendogli di farmi un articolo di pallacanestro per quel mio giornalino quasi inesistente”.
Bartoletti non si aspettava di ricevere una risposta: “Invece lui, con una gentilezza infinita, mi mandò questo manoscritto battuto a macchina, che sicuramente porterò al Festival. C’era già da parte sua un affetto straordinario e non dovuto. Poi, neanche a farlo apposta, mi sarei trasferito l’anno dopo a Milano per lavorare come giornalista sportivo, coronando il mio sogno, e avrei conosciuto una persona simpatica e adorabile”. Quello che sin da subito lo colpisce di Bianciardi è lo stile, come racconta lui stesso: “Scriveva in maniera trasparente, per usare un aggettivo. Era terribilmente comprensibile, non faceva inutili giri di parole. Era una prosa sobria, come dovrebbe sempre essere quella di un giornalista, specialmente quando parla di cose importanti. Eppure, era caratterizzata da una straordinaria originalità. Mi entusiasmava il suo modo di scrivere perché sembrava un giornalista sportivo prestato alla letteratura. Era essenziale, ma allo stesso tempo dotato di un grande talento letterario”.1_bianciardi.jpeg
Credo che questo fosse possibile – prosegue Bartoletti – grazie alla toscanità, nel senso che aveva una stesura perfetta nelle cose che scriveva, senza che vi fossero contaminazioni. Scrittori come Gianni Brera avevano uno stile caratterizzato da forte contaminazioni - chiamiamole dialettali - ma nel suo caso era come se nascesse imparato, come si suole dire. La sua prosa era di un’impressionante contemporaneità, una prosa senza tempo, tanto che Bianciardi potrebbe essere tranquillamente nato trent’anni fa”.
Gli abbiamo chiesto qualcosa di più sul suo intervento del 12 giugno: “Non sapendo se potrò parlare liberamente e so dovrò rispondere a delle domande, mi limiterò a dire quello che so. Parlerò del mio affetto per una persona che mi ha emozionato tantissimo. Forse perché avevo solo vent’anni e lui era il primo scrittore che conoscevo in vita mia. Per era come se avessi conosciuto Manzoni o Dostoevskij”.
Bartoletti, poi, fa un importante discorso sul mestiere giornalistico: “Bianciardi era innanzitutto uno scrittore e Brera ebbe la folgorazione di affidargli alcuni articoli di sport. I giornalisti sportivi sono sempre stati considerati di serie B, finché non è arrivato Brera e ha dato alla categoria l’importanza che merita. Ora, sono arrivato al punto in cui rifiuto queste distinzioni, queste categorizzazioni”. Concludiamo la nostra conversazione chiedendogli un suo pensiero sui giornalisti del futuro: “Un giornalista deve essere un giornalista, punto. Deve essere dotato di una certa permeabilità tra gli argomenti e, soprattutto, consiglio ai futuri giornalisti di non accontentarsi, di non credere di esserlo solo perché si scrive su un qualche giornale. Deve scegliere di studiare, approfondire, essere originale. Un giornalista deve sempre inventare un titolo per il proprio articolo, perché è un tocco di originalità. Ognuno ha conoscenze che altri non hanno, un’ottica diversa nel raccontare qualcosa. Perché di banalità ce n’è troppa”. Un altro grande insegnamento che ha appreso proprio grazie a Luciano Bianciardi.

Adele Porzia 09/06/2022

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