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Lo sguardo per l’Altro. Marco Baliani ci parla del suo ultimo spettacolo “Human”

Chi sei tu? Chi sono io? Domande che, come la luce intermittente di un faro, si presentano nella mente dell’uomo contemporaneo, la cui vita si muove sempre incerta e desiderosa di approdare in quell’unico luogo che può chiamare, finalmente, casa. È un incontro-scontro con la difficile realtà che costringe alla fuga, all’abbandono e alla separazione: quei, cosiddetti “viaggi della speranza” che ogni giorno trasportano, pericolosamente, anime in cerca di libertà. Prendendo le mosse dal mito di Enea – forse primo vero simbolo del profugo – e di Ero e Leandro – i due amanti “condannati” all’impossibilità dell’unione – lo spettacolo “Human”, rimasto in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 14 maggio, di Marco Baliani – impegnato in questo momento anche sulla piazza siracusana con la tragedia di Eschilo “Sette contro Tebe” – affronta la drammaticità di quei “corpi narranti” storie di profughi, brandelli di vita carichi di memoria e speranze sradicate e perdute in quel mare-cimitero custode dell’ultimo spento canto di un’invocante umanità.
Abbiamo raggiunto telefonicamente il regista e drammaturgo per parlare di diversità, di sguardi, di sentimenti, di diritti e di teatro. E di quando e come l’uomo possa precipitare nella disumanità.

“Human” è uno spettacolo che s’interroga sul senso profondo del migrare, di quel fenomeno quotidiano che vede molti costretti ad abbandonare la propria terra in cerca di una salvezza. Già dal titolo, che contiene un’invasiva linea che lo attraversa, è data la chiave di lettura: l’umano e la sua negazione. Da dove e com’è nata l’idea di voler parlare dell’umanità perduta o negata?
“Pensavamo di lavorare sul tema della migrazione. Prima del titolo, però, ci siamo posti il problema di quale potesse essere il nocciolo, su che cosa volevamo far ruotare lo spettacolo. Avevamo capito subito che non poteva essere un’unica storia, non ci interessava farne una e meno che mai ri-raccontare gli ennesimi episodi di quelli che arrivano: certo, dovevano esserci, ma come dei piccoli blitz. Alla fine, tutto lo spettacolo è diventato un affresco fatto di piccoli quadri molto veloci con cambi di registro linguistico tra l’uno e l’altro. Cominciando a capire cosa volevamo dire, sono venute fuori le storie, le idee di dialogo, di monologo pensando anche all’elemento che unificasse tutto: la parola “umanità”. Però ci sembrava molto grande dire “Human”, termine già usato; poi era anche uscito un documentario molto bello (“Human” di Yann Arthus-Bertrand [ndr]). Abbiamo deciso allora di interrogare la parola, riflettendo su che cosa può diventare oggi l’umanità, come si declina. Viene nominata molte volte durante lo spettacolo. Ed è questo il senso dello spettacolo: cosa succede a noi occidentali rispetto a questa parola quando ci dobbiamo confrontare con l’altro da noi?”

Lo spettacolo è la parte finale di un’idea di base, il “Progetto Human” (www.progettohuman.it), una sorta di diario di bordo di tutto il lavoro. Questo spettacolo più che un viaggio – o una sua metafora – di uno straniero, di un profugo, sembra essere un muoversi sulla soglia, sul confine, fermarsi sul quel “campo di battaglia” che è il mare.
“Non abbiamo pensato al mare, ma alla soglia sì. Penso che il teatro di per sé sia sempre una soglia. La sua natura è quella di essere al limite, di doversi interrogare sempre sui limiti non offrendo soluzioni, perché quando il teatro comincia a fare le pagelle dei buoni e dei cattivi non svolge più il suo compito. Il teatro è grande quando riesce a stare in precario equilibrio sopra questo limite, sapendo che da una parte c’è la soluzione moralistica, politica, pedagogica, didattica e dall’altra c’è solo il caos indefinito. Ecco, è necessario stare tra questi due estremi.”

Per quanto riguarda invece la drammaturgia, questa può essere considerata un nuovo tassello per il Baliani “raccontatore di storie”, legato a doppio filo tra letteratura (vedi i lavori precedenti su Boccaccio e Ariosto) eHuman2 l’uomo, la sua dignità e la ricerca dell’identità. Per “Human” ti sei dovuto confrontare con l’autrice Lella Costa.
“Sì, abbiamo scritto a quattro mani ed è stato molto bello perché, non avendo mai lavorato insieme, ci siamo scoperti. Lei tagliava i miei pezzi, io i suoi senza grandi problemi, sapendo entrambi che la metà del lavoro si sarebbe fatta in scena. Non ho mai amato l’idea di una scrittura del teatro a tavolino che definisce fin dall’inizio i ruoli e le posizioni. La scrittura è un canovaccio, sempre. Poi incontri i corpi di quegli attori che ti fanno cambiare strada, aggiungono parole, ne tolgono altre, come con i quattro giovani allievi, insieme a noi sulla scena, che ci hanno dato altre possibilità d’interpretazione del testo. È questo il lavoro: un work in progress, il risultato di un processo molto più interessante che la pura e semplice scrittura, lavorando, invece, soprattutto sull’oralità.”

Infatti si percepisce la particolare attenzione data alla parola, alla poesia che può restituire il teatro. Non si è presentato un problema, diciamo, di omogeneità, visto che comunque si tratta di uno spettacolo per quadri?
“Fin dall’inizio abbiamo scelto di non essere omogenei e questo ci ha notevolmente aiutato. Se avessimo dovuto fare qualcosa con una poetica e un’omogeneità di linguaggio, non ci saremmo riusciti proprio per il fatto che io e Lella siamo diversissimi, abbiamo specifici universi di riferimento. Per cui abbiamo avuto la possibilità di stare dentro ai nostri mondi, confrontandoci.”

Il teatro diventa mezzo per rendere la vita meno terribile, elemento che può ridare un’autorevolezza all’umano/umanità. Ti senti di dire che l’abbiamo affidata solo al teatro e noi come individui l’abbiamo persa?
“No, non esageriamo, non sarei così drastico. Penso che il teatro è una delle tante possibilità di mantenere a galla i residui di umanità che ancora abbiamo. C’è anche tanto altro: il cinema, la letteratura, il romanzo, la pittura, le arti in genere. Ma anche non le arti: basti pensare al volontariato o a tante forme di umanità presenti nella politica. L’umanità è come la democrazia, è una creatura fragile e delicata e va sempre curata. Non è data in modo definitivo. Ogni volta si mette in discussione, ogni volta devi rimboccarti le maniche per tentare di non farla deperire.”

Quindi, alla fine, è uno spettacolo che può dare nuovamente la speranza che l’essere umano ritorni a essere “umano”?
“La strada è questa, è faticosa, ma è l’unica possibile da percorrere. È una lotta. Certo non tutto il teatro si spinge verso questa direzione, però quando è teatro “vero”, se lo fai in un certo modo, ti stai muovendo dentro il solco del rispetto, della dignità e dell’umanità.”

Marco La Placa 14/05/2017

Foto: Zani-Casadio, Daniela Zedda

Recensione di "Human": https://www.recensito.net/teatro/human-marco-baliani-lella-costa-recensione.html

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