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“L’ultima madre”: Recensito incontra il cast – Lorenzo Parrotto

In occasione delle repliche romane dello spettacolo “L’ultima madre” di Giovanni Greco, previste al Teatro Vascello dal 5 al 7 maggio, Recensito ha incontrato Lorenzo Parrotto, giovane attore nei panni di diverse figure.

Nello spettacolo hai l’onere di interpretare diverse figure. Ci racconti cosa fai e quale fra i ruoli che rivesti ti è sembrato il più interessante?

Sì, ho varie uscite a livello drammaturgico, più qualche apparizione a suon di tango: è uno spettacolo molto movimentato per quel che mi riguarda. Interpreto Julio, marito di Mercedes, più per affari che per amore, e genero di Ignacio Mendosa, uno dei capi militari più influenti. Poi, ho tre dialoghi con Ilenia [D’Avenia, che nel cast interpreta un Pubblico Ministero, ndr] durante i quali vengo intervistato come imputato e messo sotto torchio nei panni di un ministro della cultura, di un prete, Padre Zanchetta, che andava sui ‘voli della morte’ per dare conforto, per assolvere (quanto di più contraddittorio ci possa essere...) e infine uno dei medici che gestivano la situazione all’interno dei campi di concentramento e delle sale di tortura. In tutto, quindi, quattro personaggi.
Quello che mi ha graffiato di più è sicuramente Julio. Veniva chiamato “El Cura”, perché nella routine e nella quotidianità di quel che faceva (il torturatore...) manteneva sempre un forte rigore e un certo gusto, anche. C’è in lui quell’interessante confine tra qualcosa che fai tutti i giorni e però il “brio” con cui lo fai. E la sfida attoriale è proprio riuscire a restituire questo aspetto. Senza contare, poi, che questa di Julio è la figura più oscura, più contraddittoria: marito per bene nella vita pubblica, torturatore in quella privata.

Un ministro della cultura, un prete, un medico. Hai quindi anche l’enorme responsabilità di far arrivare al pubblico il coinvolgimento delle istituzioni nella tragedia dei desaparecidos. Istituzioni, come la Chiesa, che dovrebbero salvare, salvaguardare, e invece ammazzano...Come ti sei approcciato a questo aspetto?

Giovanni Greco è stato fondamentale. Lui, a differenza nostra, è stato più volte in quei luoghi, si è documentato sul campo e ha raccolto moltissime testimonianze.
Una cosa è certa: l’istituzionalizzazione del crimine è qualcosa di spaventoso. Vedere una figura come quella di un prete completamente contaminata credo sia qualcosa di abominevole. Insomma: voglio dire, è qualcuno da cui si va per chiedere conforto, per chiedere salvezza.
Nello spettacolo, questo aspetto è molto forte: il personaggio del prete non solo nega, ma lo fa con un certo gusto, con una certa leggerezza, e penso che più una cosa viene restituita in maniera leggera, più è cruda e cruente. Di fronte a un tale livello di corruzione, hai la percezione di dove sia arrivato il male...
Io qualche anni fa sono andato a Cracovia a vedere i campi di sterminio. T’accorgi davvero che il male esiste, e che spesso non viene raccontato sui libri di storia. E quando questo male arriva in determinati luoghi, in determinate istituzioni, insomma...ti rendi conto...che è difficile sperare in un mondo migliore.Lorenzoparrotto1

E questo è uno dei temi che fanno di questo spettacolo un lavoro anche ‘sociale’, in senso ampio. Considerando la tua esperienza, ti senti volto a questo tipo di teatro ‘civile’? pensi sia questa la tua strada? In ogni caso (qui è ancor più chiaro) il ruolo di un attore non si esaurisce sul palcoscenico...

Secondo me bisogna sempre partire da qualcosa che è semplice. Il teatro è incontro. Tra più cose: tradizioni, persone, modi di dire, modi di fare, abitudini, ovviamente stili. Perciò, in questo momento non mi sento di dire quale sia la mia strada, sono molto aperto, mi guardo sempre intorno.
Comunque, hai perfettamente ragione quando dici che il ruolo dell’attore non si consuma sul palcoscenico. Non finisce lì.
In questo spettacolo diamo corpo e voce a una storia che diversamente potrebbe non arrivare.
Mi è capitato di parlare di quel che sto facendo con persone che sapevano e non sapevano, che avevano sentito e non sentito. Non mi interessa parlare espressamente di “politico” o “sociale”: in fondo, il teatro, come diceva Fabrizio Gifuni, è il luogo della memoria, semplicemente della memoria.
Certo è che attori si è sempre, non solo sul palco. E il nostro è un ruolo e un lavoro che non a caso in altri paesi è considerato col giusto rispetto...

Sacha Piersanti
27/04/2017

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