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"L'importanza di essere sé stessi": intervista al regista Giuseppe Venetucci

Siamo già a fine maggio. A Roma la stagione teatrale si conclude, i suoi effetti rimangono.
Oggi parliamo con Giuseppe Venetucci, che con la sua regia ha chiuso la stagione 2022-2023 del Teatro Belli con l’opera del drammaturgo e regista spagnolo Federico Garcia Lorca, “La casa di Bernarda Alba”, andata in scena dal 23 al 28 maggio.
Sold-out la prima, un teatro pieno anche per tutte le altre rappresentazioni. Entrare in questo teatro, che rientra fra quelli più antichi di Roma, ospitato in quella che fu la Chiesa del Monastero di Santa Apollonia, è già di per sé un’esperienza. Passando dal convento alla taverna, dalla taverna al teatro, il luogo ha accolto cambiamenti sociali e morali importanti nel corso dei secoli. E, con “La Casa di Bernarda”, è oggi l'arte dello spettacolo a scuotere nuovamente il rapporto tra morale e libertà. Un testo cupo, serioso, nella trama come nella storia. Questa opera teatrale in tre atti è stata scritta da Garcia Lorca nel 1936, alcuni mesi prima della sua morte, ucciso tragicamente dalle forze nazionaliste. L'opera fu successivamente rappresentata per la prima volta a Buenos Aires nel 1945.

Il testo ci parla delle manie represse di donne che devono fare della castità il loro voto per otto anni. Un periodo che corrisponde al lutto per la morte del secondo marito di Bernarda, madre di cinque sorelle. Oscurità, austerità, silenzio, provocazione, desiderio, passioni, colpa, apatia, sono alcune delle emozioni che scuotono la casa in pieno lutto. A reggere il tutto insieme, ad impedire le passioni individuali, a reggere insieme la parvenza degna della famiglia, è la morale folle e maniacale di Bernarda.
Accompagnandosi da Dorotea Aslanidis (Bernarda Alba), Nunzia Greco (La Poncia), Maria Cristina Maccà (Maria Josefa), Evelina Nazzari (Angustias), Giulia Guastella (Amelia) e Francesca Buttarazzi (Adela), Valentina Marziali (Martirio) e Ludovica Alvazzi Del Frate (Magdalena), Giuseppe Venetucci ha messo in scena nuovamente questa sessualità femminile soffocata, nel contesto socioculturale reale delle campagne dell’Argentina.
Giuseppe Venetucci debutta come regista teatrale a Roma, al teatro Politecnico, con l'adattamento del romanzo Povera gente di Fëdor Dostoevskij con Liù Bosisio e Pierluigi Aprà. Chiamato da Diego Fabbri, collabora come regista nella Cooperativa Odeion dal 1977 al 1891 (con Mila Vannucci, Paolo Carlini, Nando Gazzolo, Carlo Hintermann e Olga Gherardi), poi nella Cooperativa di Ileana Ghione dal 1983, mentre collabora con le tre reti radiofoniche della Rai in vari programmi culturali e sceneggiati in varie puntate, tra cui "Alla scoperta di Cristoforo Colombo" in 235 puntate e "Il nome della Rosa" di Umberto Eco.

Il suo adattamento permette ad oggi una riflessione attuale, sul corpo e la morale, ma soprattutto sulle strutture del desiderio. Cogliendo l'occasione di intervistare il regista, abbiamo potuto soffermarci sulle sue intenzioni, la genesi del progetto, il suo rapporto con il testo originale, ma soprattutto, incrociare i sguardi di chi ha visto (e si domanda), e chi l'ha fatto (e ne può rispondere).
Lorca parla di donne, donne che sono madri, spesso provenienti dalla Spagna rurale, donne forti. Penso alla “trilogia lorchiana" di cui "La Casa di Bernarda Alba" fa parte, assieme a Bodas de Sangre e Yerma. Quello che le chiedo è: “Come è riuscito a interpretare e rileggere questo aspetto nel suo riadattamento teatrale”?


"Nel mio riadattamento teatrale la questione che viene affrontata è la possibilità che vedeva Lorca di poter cambiare certe forme di impostazione culturale che avevano queste donne e che i tempi cambiano; perciò, bisogna adeguarsi culturalmente alle nuove esigenze della gioventù. Il personaggio della governante, che rappresenta il proletariato, riesce a far capire a Bernarda che è necessario essere coerenti con sé stessi, con i propri pregi e i propri difetti".


Le interpretazioni che spiccano maggiormente sono proprio quelle de La Poncia e di Bernarda Alba. Com’è stato lavorare con loro e quanto è stato unito il gruppo?


"Abbiamo lavorato in grande armonia. Con Nunzia Greco (La Poncia) avevo già lavorato e quindi abbiamo un rapporto artistico notevole, ma anche con Dorotea Aslanidis (Bernarda Alba) mi sono trovato benissimo, marciavamo sulla stessa lunghezza d’onda. È stata un’atmosfera molto piacevole".

L’allestimento con le sedie che si muovono andando a dividere e scontornare uno spazio da abitare fa pensare a “Diatriba contro un uomo seduto” di Marquez, in cui un uomo di spalle accetta passivamente un monologo di sua moglie che inveisce sui suoi tradimenti e la sua condotta da cattivo marito. Anche qui si parla di donna ispanica, forte e prorompente. Che ruolo hanno queste sedie e da dove nasce questa soluzione scenografica allestiva per scandire tempo spazio in scena?
"La soluzione delle sedie è stata fatta unicamente perché le volevo tutte in scena proprio per creare i climi sotterranei che si sarebbero creati, e questo in teatro potevo farlo solo muovendo delle sedie. Far uscire quelle sedie dalla scena avrebbe rotto quell’atmosfera che abbiamo cercato di dare".

Guardando lo spettacolo si nota questo sfondo che aveva sempre un colore diverso. C'è un motivo?
"Sì, esatto, sono i vari stati d’animo che si attraversavano, quello che potevamo prendere, quello che non riuscivamo a raggiungere e quello che, ad un certo momento, purtroppo avrebbe terminato. Per quanto noi cerchiamo di realizzarci per ottenere delle cose, molte volte non ci riusciamo. Con gli effetti della luce, perciò, riuscivo a restituire questi stati d’animo dei personaggi".

Pur mettendo in scena un ambiente radicalmente femminile, sembra che si delinei, in contrasto, una costante riflessione, una costante presenza della figura dell'uomo (temuto quando desiderato). Lei crede che l'Uomo, grande assente di questo palcoscenico, sia comunque una presenza fondamentale della sua opera?

"L’uomo visto più come realizzazione della propria personalità, cioè la necessità delle donne era di rompere questo clima e solo grazie all’uomo potevano realizzarsi. Questo però era possibile soltanto attraverso il matrimonio, difatti molti matrimoni venivano fatti perché la gente voleva uscire dall’ambito familiare e cercare una sua realizzazione. Adesso è normale che una ragazza vada a vivere per conto suo, ai tempi sarebbe stata giudicata come una persona di dubbia moralità".

Adattando un testo e anche una trama storicamente ben definita, ci si può chiedere quanto il pubblico di oggi vi sarà sensibile. Qual è il messaggio che Lei vuole, oggi, attraverso questa storia, far passare al pubblico?

"Quello che siamo riusciti a conquistare. Una donna che può vivere da sola, che può avere rapporti sentimentali e rapporti lavorativi, ma che comunque viene stimata per quello che è lei, non per quello che è la sua vita privata".

Sul ruolo della donna nel futuro, lei è fiducioso?
"Sì, ma lo vediamo anche dai risultati. Non parliamo poi anche dell’omosessualità di Lorca, al quale qui si sottende in maniera sottile ma che adesso non sconvolge più niente, gli omosessuali possono avere una vita regolare e soprattutto hanno la stima da parte degli altri. Non sono più giudicati come persone amorali".

Garcia Lorca fa morire l’unica tra le sorelle che si è davvero liberata a un potere, quello della madre e quello della negligenza delle altre. Come giudica questa azione di condanna da parte dell'autore?

"Non penso che la faccia morire per questo. Adela muore unicamente perché non riesce assolutamente ad essere sé stessa, l’unica soluzione possibile allora è quella di eliminarsi. Capisce quindi che non è tanto l’impossibilità ad avere il rapporto con Pepe, quanto il fatto che non ce la farà mai ad essere sé stessa. D’altra parte, Bernarda non può non essere che sé stessa a sua volta, perché dev’essere coerente con quella che è stata la sua formazione, la sua cultura e l’impostazione che ha dato alle sue figlie. Questa è la cosa che abbiamo raggiunto e abbiamo superato. Se ad esempio una ragazza va a dire alla famiglia che ha una relazione, la sua famiglia non la giudica male, anzi, la accetta, e non solo non c’è nessun giudizio da parte della famiglia, ma non c’è nessun giudizio nemmeno dalla società".
Lei trova quindi il sacrificio di Adela necessario?
Lo trovo come fato, bisogna morire per ottenere delle cose. Paga con la sua vita quello che è poi la conquista di noi. La gente dovrebbe riflettere su quanto certe impostazioni culturali portano all’annullamento di sé stessi.

Isac Jacky Debach, Aurore Dupaquier, Ilaria Ferretti 01/06/2023

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