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Conversazione con Ciro Masella: il suo impegno civile oltre il teatro

Diritti/Rovesci rappresenta il tentativo di declinare un progetto nato originariamente per il teatro nei linguaggi specifici del video e del web, affrontando le tematiche di diritti negati, di omo e transfobia, bullismo e cyberbullismo. Ne parliamo con Ciro Masella, artefice di questa interessante sfida digitale. 

Come nasce il progetto Diritti/Rovescie la collaborazione con la giornalista Laura Montanari e la dottoressa Roberta Cuppone? E quanto è stato rilevante il contributo di associazioni come Ireose dell’Arcigay Firenze?

“Il progetto Diritti/Rovesci (visibile gratuitamente sul canale YouTube di Uthopia, la mia associazione, e sulla pagina FB dell’Informagiovani di Firenze) è nato da una scommessa. A ottobre scorso avrei dovuto realizzare due reading sullo stesso tema del bullismo omofobico in due diverse occasioni: una per il Festival dei Diritti organizzato dal Comune di Firenze e l’altra per il Comune di Sesto Fiorentino e la Biblioteca Ernesto Ragionieri, entrambi sostenuti dalla preziosissima e molto attiva rete RE.A.DYdella Regione Toscana. Poi, proprio a ottobre, tutti gli eventi dal vivo sono stati cancellati, e mi è stato chiesto di fare uno streaming. Ho proposto invece agli organizzatori di entrambi gli eventi di cogliere l’occasione per trasformare quelle che avrebbero dovuto essere due serate di “teatro dal vivo” in due specifici progetti-video per il web, che potessero rimanere a disposizione per un tempo illimitato. Negli ultimi mesi mi è venuta alla mente una sorta di metafora: quando ti viene chiesto di prendere uno spettacolo e farlo in streaming così com’è, piazzando semplicemente qualche telecamera qui e là, senza ragionare sul tipo di recitazione, che è diversa se si sta in un teatro o davanti ad una telecamera, e senza interrogarsi  approfonditamente sul “punto di vista” che di volta in volta dovrà scegliere l’occhio elettronico, sulla specificità del linguaggio adottato e da adottare, è come se si chiedesse ad un poeta di prendere una sua poesia e trasformarla in prosa semplicemente levando gli a capo. È impossibile, si tratta di due linguaggi differenti: il linguaggio va totalmente ripensato.Allo stesso modo immaginare qualcosa per il video richiedeva delle professionalità specifiche, un sistema di pensiero diverso.

Questo è il motivo per cui, per il progetto kit di sopravvivenza per giovani adolescentirealizzato per il comune di Sesto Fiorentino, ho chiesto aiuto per la scrittura alla psicoterapeuta Roberta Cuppone che, da anni, lavora tantissimo su questi temi nelle scuole, a fianco dei ragazzi, l’utenza a cui era principalmente rivolto il progetto. Cuppone ha scritto tre monologhi molto belli, attingendo alla sua esperienza personale e sul campo: un episodio di bullismo raccontato da tre punti di vista diversi, la vittima, il bullo e una testimone, successivamente interpretati da tre giovanissimi attori, che ho accuratamente scelto. Ho coinvolto Lindora Film per le riprese e il montaggio, e si è rivelata una scelta felicissima: il risultato è stato sorprendente. Successivamente, per l’assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Firenze e per il Festival dei Diritti, è nato Diritti/Rovesci, per il quale oltre alla dottoressa Cuppone ho chiesto la collaborazione alla scrittura della giornalista Laura Montanari. Assieme al suo collega Fabio Galati, Montanari aveva già scritto per me, alcuni anni fa, un testo teatrale molto bello e realizzato un progetto su alcuni racconti di cronaca in forma teatrale che, oltre ad essere stato pubblicato, era sfociato in uno spettacolo-evento che ho portato in scena in diverse occasioni. Per ciascuna delle storie che compongono il puzzle di Diritti/Rovesciabbiamo sperimentato stili diversi, usato il bianco e nero e il colore, azzardato il “documentaristico” o cercato atmosfere più intime. Abbiamo trasformato l’impedimento di andare in scena in una opportunità, la possibilità di sperimentare un linguaggio così complesso e affascinante come quello del video, del “cinema”. Ad alcuni personaggi ho prestato il volto, il corpo e la voce, per gli altri sono stati coinvolti una serie di colleghi, di giovanissimi attori o di attivisti delle associazioni con le quali abbiamo collaborato. Un ruolo fondamentale, di colonna portante, lo ha svolto appunto l’associazione Ireos-comunità queer autogestita di Firenze, che ha permesso l’incontro fra la mia associazione Uthopia e il Festival dei Diritti. Poi in corso d’opera c’è stata la preziosa collaborazione di ArciGay Firenzenella persona del vice-presidente Vincent Vallon”, che ha raccontato la sua personale esperienza in uno dei video, quello sul “coming out”.

Lo sguardo che offre con il progetto Diritti/Rovesciscava nella profondità umana, ben oltre le apparenze, mettendo in luce storie reali di transizione di genere, rifiuto, lotta, violenza fisica e verbale. Spesso i luoghi incriminati di bullismo sono proprio quelli deputati alla formazione ed educazione, come le scuole. Avete pensato ad una diffusione di questi video proprio lì, con valore didattico?

“I video sono stati pensati, già in fase di scrittura, di concepimento, non solo per essere divulgati e rimanere a disposizione di chiunque sul web, ma anche per essere utilizzati dalle e nelle scuole, come strumento di approfondimento e di didattica. Sin dall’uscita del primo capitolo, e per me è stata una bellissima sorpresa, mi sono arrivate notizie e messaggi sui social di insegnanti che lo stavano diffondendo nelle loro classi, che chiedevano di poterlo utilizzare a scuola, di farlo circolare fra i ragazzi. Le paroleIl Finale di Denise, i primi due capitoli, hanno avuto una circuitazione molto importante, e di questo sono felicissimo. L’idea era di creare qualcosa che restasse e che potesse “crescere”, stimolando e contribuendo alla discussione. Un punto di partenza per riflettere, anche e soprattutto in questi giorni, in cui molto si discute della legge Zan. Sono temi di un’attualità sconvolgente. Pensavamo di aver acquisito una serie di diritti che davamo per scontati, e di essere su una strada in discesa in cui poterne ottenere altri, ma ci siamo accorti all’improvviso di trovarci nella condizione di dover difendere con forza e decisione, coi denti addirittura, ciò che con fatica e lotta è stato conquistato negli anni, e di doverci spendere perché sempre più donne e uomini possano essere liberi, uguali, messi nella condizione di poter fiorire ed essere sé stessi. E va riaffermato ogni giorno quanto questi diritti siano necessari, indispensabili, urgenti. Anche raccontandone i rovesci, l’altra parte della medaglia. Credo che sia importante raccontare queste storie, perché siamo dotati di istinti e passioni ma la facoltà del sentimento nell’essere umano non è qualcosa di naturale, va “allenata”, nutrita appunto con le storie, che creano quel bagaglio comune da cui attingiamo e impariamo le regole del vivere assieme, affiniamo la nostra empatia, la capacità di comprensione e di inclusione, ci abituiamo all’alterità, a tutto ciò che è altro e diverso da noi. L’altro progetto che infatti sta scaturendo da Diritti/Rovescisi chiama Per una nuova educazione sentimentale e digitale, che è quello di cui c’è un estremo bisogno in questo momento storico di grande violenza, rabbia, frustrazione, livore, desiderio di sopraffazione, totale mancanza di rispetto delle libertà altrui; e questo lo si respira nella vita reale ma anche e soprattutto sul web, in cui regna la mala-educazione.

Quanto è importante collocare la tematica del cyberbullismo nello stesso canale in cui si perpetra? Questo riesce a scuotere gli animi ed accendere il dibattito su tale problematica?

“Il web nasce in origine come “luogo” di libertà, una piazza virtuale in cui poter scambiare informazioni, potersi rappresentare liberamente, poter condividere e reperire informazioni e saperi, abbattere distanze. Ora è diventato una “cloaca” indefinita di violenza, fake news, sopraffazione ed insulti. Siamo stati capaci, ancora una volta, di trasformare qualcosa che era nato per il bene in qualcosa di negativo. Usarlo quindi per costruire dibattito e riflessione, per cercare l’incontro con l’altro, per farsi delle domande invece che per urlare le proprie convinzioni, è la migliore risposta a chi lo utilizza per il revenge porn ad esempio, lo usa per attaccare, insultare, diffondere menzogne, diffamare, vituperare corpi, violentare, distruggere vite. I social sono nati per creare incontro, per far dialogare oltre le distanze, ma ora sono spesso luogo di paura, di sopraffazione, di violenza. C’è tantissima gente che sta cercando di gettare le fondamenta per un web più sicuro, meno claustrofobico e violento”.

“In principio era il Verbo” si legge nel Vangelo di Giovanni. Nell’episodio Le parolepiù che alla forza creatrice, si fa riferimento amaramente al potere distruttivo delle stesse, peggio di qualsiasi arma fisica. Quanto ritiene sia importante oggi dar “voce”, attraverso il teatro, a tematiche particolarmente delicate come quella del bullismo omofobico, di cui molto si parla, ma che sembra non essere mai abbastanza?

“Il teatro, in tutti i suoi momenti più alti, nella Grecia antica ad esempio, è stato il luogo eletto della polis, in cui si raccontavano le storie, si mettevano in scena i conflitti, si trattavano i temi vitali che costruivano i presupposti per la convivenza civile, le regole per il vivere assieme. Il teatro è quel “luogo” dove gli esseri umani possono imparare, oltre al valore del “bene comune” e alle regole del “vivere assieme”, a coltivare ed educare i propri sentimenti, a trasformare gli istinti e gli impulsi. Nelle vicende dei protagonisti in scena, ad esempio, impariamo che in ciascuno di noi sono contenuti i germi del bene e male, facciamo esperienza di quegli impulsi e di quei sentimenti contrastanti, opposti, contrari. Immedesimandoci in quelle situazioni possiamo scoprire qualcosa in più di noi stessi, scandagliare il nostro animo, le nostre profondità, affrontare le nostre paure e i nostri demoni. Siamo capaci di amore folle, ma anche dell’odio più assoluto. Siamo bene e male. In teatro vediamo storie che ci mettono in contatto con queste possibilità d’essere, citando Pirandello, che ciascuno di noi ha, alcune della quali non verranno mai a galla, ma che sono potenzialmente in ognuno di noi. Facciamo esperienza di quello che viene rappresentato, lo analizziamo dentro di noi, abbiamo la possibilità di “fare amicizia” con tutti questi sentimenti e pulsioni e istinti, di guardarli in faccia; come con la morte, e con tutto ciò che cerchiamo di tenere lontano, di nascondere a noi stessi, tutte quelle possibilità d’essere di cui neghiamo l’esistenza, mettendo in pericolo noi e coloro con i quali veniamo in contatto. I libri, il cinema, il teatro ci permettono di frequentare quella parte oscura, profonda, misteriosa, ma anche di allenarci a sentire ciò che di più alto e bello l’animo umano può percepire o creare. Il teatro continuerà a fare tutto questo con una forza, con una marcia in più perché avviene tra uomini vivi, tra carne e carne, nel famoso “qui e ora”. L’odore delle pagine di un libro è meraviglioso, le inquadrature e i primi piani dei film e delle serie tv sono incredibili, ma non riusciranno mai a sostituire un corpo fisico, l’incontro tra corpi fisici, quel corpo a corpoche spesso si crea tra attore e spettatore, ad eguagliare quella cosa straordinaria che senti quando assisti, partecipi a questo rito “fra esseri viventi e pulsanti”, a questa manifestazione dell’invisibile.”

Ne Il finale di Denise, l’episodio si chiude con una frase significativa: “di Pablo chi se ne frega è morto senza aver vissuto”. Qual è il messaggio che si racchiude dietro un’affermazione così breve, ma efficace? Era importante descrivere non solo la discriminazione, ma anche la solitudine di chi come Denise ha sempre vissuto in “due corpi”?

“Ne Il finale di Denise, a cui sono profondamente legato, Fabio Galati e Laura Montanari sono riusciti a scavare nelle pieghe più profonde del dolore, della solitudine, ma anche del coraggio e della voglia di riscatto, restituendo alla protagonista un nuovo finale, diverso da quello a cui l’avevano relegata i suoi parenti. Ed è per questo che ho chiesto a Laura Montanari di scrivere alcuni degli altri capitoli di questo racconto corale, perché avevo sperimentato e amato la grazia e la potenza della sua scrittura, la capacità di trasfigurare l’oggetto del racconto, di restituire ai protagonisti profondità, luce; di trattarne le vite, anche nei loro picchi di bassezza, con una straordinaria pìetas. Cosa che ha fatto anche con La Strada di Luis, la storia di questo ragazzo “diverso”, bullizzato e deriso, che per scappare da sé e dai suoi “aguzzini” si perde in un bosco. Un racconto che, come quello di Denise, è ispirato a una storia vera, a un fatto di cronaca realmente accaduto, una materia “sensibile” che Montanari ha saputo trattare con delicatezza, pudore, rispetto. Quella dalla “vera” Denis, che aveva colpito l’immaginario collettivo, non solo in Toscana, dove era avvenuta, è la storia di una identità negata, in questo caso dai propri genitori, i quali a volte possono provocare danni incredibili e ferite profonde per amore, o per quello che ritengono erroneamente essere amore. Amare è capire cos’è bene per la persona che si ha davanti, mettendola nelle condizioni di realizzare sé stessa, di fiorire, non negandole il diritto alla felicità. La forza del racconto di Montanari e Galati sta nello sguardo di compassione su chi in nome dell’amore sta operando invece violenza, sopruso; è il “patire-con”, “mettersi nei panni di”, quindi arrivare a capire, e a far dire alla bocca e alla voce di Denise che comprende perfettamente perché i suoi genitori hanno deciso di seppellirla vestita da Pablo, ed  è perché quest’ultimo non è mai realmente esistito. Il corpo in quella bara, quell’identità, quel nome, non ci sono mai stati. C’è sempre e solo stata Denise. Ed è colei che sopravvivrà anche alla morte, nel ricordo”. 

Con questo progetto si vogliono mettere in luce gli ostacoli che chi è considerato “diverso” deve ogni giorno superare. I cortometraggi testimoniano che è necessaria maggiore consapevolezza sia tra i più giovani, sia, e soprattutto, nelle vecchie generazioni che ancora pensano si tratti di disturbi psicologici. Quanti casi come questi ha ascoltato o raccolto per realizzare Diritti/Rovesci?

“Tanti, troppi. Pochi giorni fa, proprio con Laura Montanari, commentavamo l’ennesimo fatto di cronaca, quello di una giovanissima ragazza cacciata di casa e minacciata dai suoi perché lesbica; e tutto questo nella civilissima Toscana. E poi la vicenda dei due fidanzati aggrediti in metropolitana a Milano, e come loro tanti e tanti altri. E di fatti del genere ne accadono tutti i giorni. In questo periodo, anche perché si sta affrontando il dibattito sulla legge Zan, i riflettori sono puntati più del solito su vicende che normalmente vengono relegate alla cronaca locale e non trovano spazio tra le notizie “importanti”, ma che sono all’ordine del giorno. Oggi che si parla di una legge che prevede l’introduzione dell’aggravante della motivazione legata all’orientamento sessuale e di genere, in estensione a quella per etnia e orientamento religioso della legge Mancino del 1993. Perché la violenza per i suddetti motivi è reato. E va punita. E va scoraggiata, disincentivata. Questa legge potrebbe rappresentare un deterrente, per arginare almeno in parte l’intolleranza, l’ignoranza, l’odio, la violenza verbale e fisica. Ed è nostro compito spiegare, dimostrare a più persone possibili che concedere a chiunque il diritto di vivere la propria vita, di amare chi si desidera amare, di essere e realizzare sé stessi, di fiorire, non diminuisce o intacca i diritti e le libertà di nessuno. Se ci si sente in pericolo nel vedere due ragazze mano nella mano, sicuramente alla base c’è un’identità fragile, un io frammentato, qualcosa di irrisolto o non integrato, una disabitudine ad elaborare le pulsioni e le emozioni, a gestire i propri impulsi. E allora si reagisce in modo non razionale, attaccando, rifugiandosi nella paura e nella violenza. La paura di perdere qualcosa, di vedere messi in pericolo sé stessi e i propri cari o la propria libertà. Vorrei capire come può mettermi in pericolo il fatto che chiunque sia libero di essere sé stesso, vestirsi come vuole, amare chi vuole. Quale pericolo può incombere su di me?  Cosa mi viene tolto? A cosa devo rinunciare perché qualcun altro sia libero e felice? Poniamoci queste domande”.  

Abbiamo notato che è molto attivo nell’organizzazione di laboratori teatrali anche online, come quello recente DiVersoInVerso. Ha progetti futuri in tale direzione, anche quando auspicabilmente si tornerà a calcare la scena?

“Ho sempre avuto un amore folle per l’insegnamento, e una predilezione particolare per quello dei versi, che in Italia purtroppo è diventato rarissimo. È una pratica che ho affinato, affiancandola a quella del palcoscenico e del set. Un laboratorio è per me un percorso di conoscenza e una fonte inesauribile di nutrimento, arricchimento. Sfortunatamente la maggior parte di noi non ha gli strumenti per leggere la poesia e goderne, e così ne perde l’infinita ricchezza. Alcuni insegnanti, non possedendo essi stessi questi strumenti, non sono stati in grado di condividerli e non ci hanno fatto innamorare della poesia, condannandoci così a una grave perdita. Quello che faccio in questi laboratori è cercare di fornire alcune “chiavi” per aprirequesta scatola magica, questo scrigno colmo di meraviglie che è il componimento poetico, nel quale la struttura, l’andamento del verso, il ritmo interno sono a volte molto più importanti di quello che la poesia racconta. L’infinito, ad esempio,è un “oggetto geometrico” perfetto, che ha la sua forza nella struttura, nel ritmo interno, nella musicalità e peculiarità dei suoi versi, che Leopardi ha faticosamente limato, cercando le parole giuste, spostandole ossessivamente, sostituendole, nel tentativo di restituire qualcosa che non smette di incantarci, trasportarci, emozionarci, illuminarci. Abbiamo perso la possibilità di godere di questi tesori enormi, spesso non per colpa nostra, quindi io continuo a fare questi laboratori anche per restituire il piacere e la bellezza della Poesia a chi ha fino ad allora l’ha ignorata o addirittura odiata. Per un attore, poi, conoscere e “frequentare” il verso permette, a mio avviso ma non solo, di riuscire a gestire il respiro, l’arcata della battuta e della prosa. Per il momento il tutto si svolge online, ma appena si potrà, si tornerà a stare insieme, in presenza, che è sempre il modo migliore per condividere e contaminarsi, nell’accezione più positiva del termine. 

Il processo di “conversione” del progetto Diritti/Rovesciper la fruizione web, con linguaggi propri del video, ha comportato un adattamento o ha spalancato la prospettiva, allargandosi a nuovi stimoli e visioni? Quando sarà possibile, tornerete sulla scena dal vivo?

“Questo progetto influirà sicuramente sul mio lavoro in teatro. Mi sono accorto, ad esempio, che si è riverberato sul mio modo di recitare, spostandone l’asse, modificandolo. E la frequentazione dei linguaggi del video sta già influenzando e arricchendo i progetti per il teatro a cui sto lavorando, primo fra tutti uno spettacolo su Nikola Tesla, uno dei più grandi inventori della storia dell’umanità, da molti paragonato per grandezza a Leonardo Da Vinci e definito “l’inventore del futuro”, quel futuro che in parte è il nostro presente, ma anche quello che è ancora da venire, anteriore a noi; l’artefice di alcune fra le più importanti invenzioni di cui ci serviamo quotidianamente e che rendono la nostra vita più comoda, agile, sicura; colui che ha anticipato, oltre un secolo fa, le scoperte della scienza moderna e che ha delineato una figura nuova e rivoluzionaria di scienziato-umanista. Diritti/Rovescista avendo poi questa sua ideale prosecuzione nel progetto sull’educazione sentimentale e digitale, a cui tengo tantissimo. Continueremo a portarlo avanti sia in presenza che producendo materiale video.”

Gabriella Birardi Mazzone e M.Cristina Migliorisi  24/04/2021 

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