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"Il Bronx ti fa parlare in dialetto calabrese": Peppe Voltarelli live al Monk

Nov 17

È una geografia dell’impossibile quella che Peppe Voltarelli disegna con la sua chitarra nella fumosa sala del Monk il 15 novembre. Davanti a un uditorio composto e silenzioso, il cantautore fresco di Targa Tenco per la rilettura dell’opera di Otello Profazio racconta la sua Calabria, i suoi personaggi e i suoi affetti in un radioshow “A tu per tu” con Jonathan Giustini di Radio Città Futura.
C’è un luogo a metà tra la sibaritide e il Bronx. C’è un non-luogo a metà tra gli ulivi e la polvere, tra le arance cosentine e le carrozzerie di Morris Park Avenue. Un luogo in cui il Caporale Panzaman e Frank Bastone si incontrano al bar davanti a una soda fresca. Un ponte leggendario, quasi "john-fantiano", che collega popoli lontani eppure mai così vicini. Il cantastorie, così, intreccia i fili come un capobanda guida la marcia mitologica di strumenti radicali come la voce, la lingua, il racconto. Per privilegiarli basta scegliere la formula giusta, e quella che va in scena al Monk è perfetta (brava Rapsodica!), alterna piacevolmente le parole alla musica, esattamente come accade nelle canzoni. Voltarelli canta le proprie radici in pantalone e gilet, in piedi davanti al microfono come si recitano le poesie di fronte ad amici e parenti. "Distratto ma però" è il prologo di una prima ora dedicata al folk calabro di Otello Profazio, riletto e rinnovato da Voltarelli con magnetismo a sei corde. "Amuri amuri", "Qua si campa d’aria", "Santo Stefano", "Mafia e Parrini", "A lu mi paisi": suoni pastosi, lingua spugnosa che racconta storie di gente arravugliata, denuncia schiettamente il malessere del Sud come solo chi è del Sud può e sa fare.

Voltarelli non è stato sempre e solo Voltarelli. Il suo viaggio solista è preceduto dall’esperienza in gruppo con Il Parto delle Nuvole Pesanti. Ma che cos’è una band nella concezione di zii e ziani calabresi? È un posto fisso, un posto in banca. Esilarante allora è raccontare come la notizia del percorso solista abbia scosso non poco i familiari dell’aedo cosentino, che nasconde la timidezza iniziale sotto le borse degli occhi (il radio show è terminato e si può allargare il diaframma) durante l’aneddoto che vede protagonista Tony Vilar, emigrato nel Bronx a vendere macchine perché aveva perso i capelli e non poteva più cantare.
La geografia dell’impossibile torna geometria e diventa una corda, di quelle tese che così bene Voltarelli fa vibrare, rimbalzando ogni singolo accordo, ogni singolo passaggio dei suoi racconti un po’ bislacchi un po’ politici. La geografia diventa una retta su cui camminano Profazio, Vilar, Colapesce e tutta la letteratura in blues. Sha-sha-shakatan.

Daniele Sidonio 17/11/2016

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