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“Pensavo che l'ananas fosse in scatola”: Francesco Guccini all'Eliseo

Dic 11

Tre o forse quattro generazioni hanno riempito l’Eliseo di Roma il 9 dicembre per ascoltarlo. E lui, come un vecchio zio in un'umida serata d'autunno, ha intrattenuto tutti raccontando storie di musica, letteratura e stile. Tra episodi d’infanzia, racconti da osteria e aneddoti di palco, Francesco Guccini è protagonista di una presentazione che, di fatto, presentazione non è. Perché non ne ha bisogno, perché la maggior parte degli astanti è lì semplicemente per lui.
La serata dovrebbe essere, infatti, l’occasione per parlare dei racconti di “Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto” edito da Mondadori, e dell'antologia “Se io avessi previsto tutto questo: gli amici, la strada, le canzoni”, ma si trasforma ben presto in un festival gucciniano grazie alla mediazione confidenziale e competente di Ernesto Assante e Gino Castaldo.
Di fronte alla platea gremita il Maestrone tradisce una timidezza fanciullesca, che svanisce non appena i suoi racconti prendono voce e forma. Il libro è il pretesto per riflettere sulla differenza tra letteratura e canzone: “Tutto parte dall’esigenza di raccontare una storia, anche se il rapporto con le materie è diverso”; Guccini cuce infatti un cappotto differente per musica e prosa: “I libri li scrivo al computer, le canzoni con un foglio di carta e una penna”.
Lo scrittore – così ama essere definito oggi – parla anche del rapporto con la tecnologia, alla quale si aggrappa – a proposito di carta e penna – solo per non perdere i suoi appunti. “Se ho un iPod? – risponde ridendo – mi hanno regalato un giradischi: lo guardo con molto rispetto, ma non lo uso. Non sento più musica e non suono più la chitarra. Qualche volta – continua – ascolto la radio in macchina con mia moglie ma spesso le dico 'tira via'”. La sua musica però la ricorda, ed elenca le tre canzoni di cui va più fiero: “Auschwitz” – “ne ho scritte di migliori, ma avevo 24 anni e mi ha fatto conoscere” – “Van Loon”, dedicata al padre, e “Canzone di notte n° 4”.
È stato autore di testi e musiche Guccini, e ci tiene a descrivere il rapporto con i suoi musicisti, uno su tutti Flaco Biondini: “Lui era interessato alla lingua italiana e ai dialetti, io alla musica e alla letteratura argentina. Così siamo diventati amici”.
Filosofo del ricordo e della nostalgia, Francesco si lascia trasportare dalla memoria e racconta lo “sbarco a Pavana” dell'ottobre 1944, episodio che gli ha fatto scoprire l'America e, in età adulta, la grande epica beat.
Prima di concedersi generosamente a un disordinato firma-copie accompagnato da un calice di buon bianco, il Maestrone augura buon Natale all’Eliseo trovando la sua madeleine: i tortellini: “Tra poco è Natale, ci abbufferemo in maniera vergognosa. Ma i tortellini della nonna erano una cosa strepitosa. Oggi al ristorante possiamo mangiarli tutti i giorni, ma purtroppo il sapore non è più quel sapore, non è più quell'atmosfera, non è più quel che, che una volta c'era e che oggi non c'è”. Ci piaccion le tue fiabe, raccontane altre.

Daniele Sidonio 11/12/2015

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