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“La Passion selon Sade” all’Auditorium Parco della Musica di Roma

Mag 31

“Non mi è mai piaciuto pormi limiti: sono ingordo di natura. In tutti noi c'è una propulsione all'azione che può essere senza fine: sei compositore ma anche pittore, diventi poeta e presto regista.” (Sylvano Bussotti)
Sylvano Bussotti è uno dei personaggi più interessanti e sfaccettati del mondo musicale degli ultimi decenni. Artista moderno e poliedrico incarna un nuovo modo di intendere il teatro musicale. Negli anni diventa un unicum della storia della musica e la sua capacità di spaziare da un ambito artistico all’altro, con estrema duttilità, fa di lui un compositore versatile, protagonista di ricerche e sperimentazioni innovative. Bussotti presenta “La Passion selon Sade”, opera del 1965, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 28 maggio, per la regia di Luca Bargagna, in occasione del FastForwardFestival (FFF), il Primo Festival Internazionale di Teatro Musicale Contemporaneo. “La Passion” nasce dalla co-produzione tra lapassion01l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Teatro dell’Opera di Roma, ma soprattutto vede coinvolti molti giovani del progetto “Fabrica Young Artist Program”, tra i quali il regista, la scenografa, la costumista, gli assistenti e i musicisti dell’Ensemble Novecento, provenienti dai corsi di perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
L’opera di Bussotti è una partitura creativa di sperimentazioni e di contaminazioni artistiche e lo stesso libretto è la fusione di due diversi aspetti poetici. L’artista fiorentino trae ispirazione da uno dei 24 Sonetti composti tra il 1545 e il 1555 dalla poetessa francese Louise Labé (1526-1566). Grande ammiratrice di Francesco Petrarca, colta, affascinante e cinica, Louise diventa una figura di riferimento e di attrazione per i poeti e letterati del suo tempo. Il tema delle sue composizioni ruota attorno all’amore infelice e ai conflitti amorosi, che dominano versi appassionati, intrisi di accesa sensualità. Accanto alle poesie di estrazione petrarchesca, Bussotti fonde le parole tratte dai libri del Marchese de Sade (“Juliette, ovvero le prosperità del vizio”, seguito di “Justine o le disavventure della virtù”). Le due donne Justine-Juliette e Justine-Juliette doppio, interpretate dalla soprano Alda Caiello e dall’attrice Verdiana Costanzo, sono le due sorelle che appaiono nei romanzi di Sade, come simboli della virtù e del vizio. Un aspetto interessante riguarda l’inizio dei versi enunciati con il vocativo “O”, che se da un lato rappresenta la protagonista dell’opera, dall’altro è anche l’abbreviazione di “Organo”, oltre che un esplicito riferimento a “Histoire d’O”, un romanzo sadomasochista di Pauline Réage. Accanto all’atonalità della scrittura musicale, il compositore crea fantasiose soluzioni sceniche: un grande telo bianco divide lo spazio in due sezioni, il luogo dell’Ensemble Novecento, degli strumenti e dei musicisti e la parte antistante il pubblico. Ed è qui che la soprano si lascia trasportare dalla complessità lapassion03di una partitura che è ricerca sfrenata delle conturbanti sfaccettature dell’amore, mentre il danzatore Enrico Petrachi rompe il disorientamento sonoro con movimenti lineari, avvolgenti. Vocalizzi dissonanti assecondano una scrittura personale, unica, aleatoria, che riesce a comunicare la forza di un amore crudele, le passioni più destabilizzanti.
La scelta dei colori non è assolutamente casuale, infatti quasi tutti i musicisti sono vestiti e truccati di bianco, a differenza delle donne, del danzatore e della figurina, l’attore Francesco Russo, che indossano abiti neri, giacche di pelle, lacci che cingono il corpo e tra le mani fruste che manovrano con destrezza. Alle dissonanze perseverate si uniscono i suoni metallici di un pianoforte percosso. Dall’organo che introduce l’opera e un’atmosfera inquietante, si passa a un piano che esce dalle regole della tonalità e si lascia andare a una dodecafonia che guida l’intera performance. L’opposizione bianco-nero, luce-buio, quiete-confusione è l’antinomia che Bussotti utilizza per far emergere da un lato un senso di perdizione, di un disorientamento palpabile, parte integrante della natura umana, dall’altro, però, la presenza di una sottile speranza che vive nella stessa intelaiatura musicale, nella frammentarietà del viaggio musicale. L’opera a detta del direttore d’orchestra Marcello Panni “è la metafora del trionfo della musica sulle passioni”, un’esplosione di sensazioni che turbano l’animo, ma che lo rendono anche libero di esprimersi. L’idea di un teatro antimelodrammatico, lontano da quei sentimenti romantici che hanno animato parte del teatro d’opera. Eppure Sylvano Bussotti sia negli anni ’60 che oggi costruisce dei percorsi grafici esaltanti, come se l’idea della sua musica fosse un labirinto di suoni che si incontrano per volontà o per apparente casualità. Un artista che vive dall’interno esperienze, stati d’animo, conflitti passionali e il suo stesso linguaggio musicale.

Serena Antinucci 31/05/2016

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