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“Three the Movie”: il film indipendente e pluripremiato sulla diversità e l’integrazione

Tre è notoriamente il numero perfetto, una cifra simbolica, pregna di significato nella società e soprattutto nella religione. Sembra essere partita, infatti, dal concetto di Trinità Elisabetta Minen, regista e sceneggiatrice di "Three the Movie", il film pluripremiato all’estero e proiettato al Teatro Flavio a Roma nell'ambito della rassegna “Indipendentementi”, organizzata da Federico Mattioni.

Nella sua opera prima, la regista friulana scandaglia il tema dell’integrazione attraverso la storia di due coinquilini clandestini, Pavel (ebreo ucraino) e Mehdi (iraniano), e lo declina di volta in volta nei vari aspetti della vita: il lavoro, l’amore, la fede. Pavel e Mehdi cercheranno di vivere e integrarsi a Udine, elegante cittadina del Nord-Est poco accogliente e silente.
Il tre ricorre spesso, a partire dal numero dei protagonisti: entra a far parte della vita dei due immigrati, infatti, Irene, una ragazza del posto. I giovani sono diversi per origini, religione e progetti di vita, ma hanno in comune un senso di smarrimento e il conflitto tra fiducia e diffidenza.

Tre personaggi secondari, infine, incarnano il bene, il male e una sorta di Purgatorio. Un viaggio che diventa una “Divina Commedia” contemporanea e una narrazione sviluppata su più livelli attraverso suggestioni che si sciolgono l’una nell’altra. A interpretare il ruolo di Virgilio c’è un uomo, cieco eppure onnisciente, che guida i tre personaggi incontro al loro destino ponendo domande esistenziali di difficile interpretazione.

I personaggi passeggiano e si spostano per le strade di Udine, che ricorda in alcuni passaggi “L’Ulisse” di James Joyce, quella trasposizione del poema epico sull’eroe intento a cercare se stesso nella città di Dublino. Tutto viene amplificato da musiche liriche che incalzano nei momenti di maggiore angoscia. Pavel e Mehdi non sono integrati e non hanno una posizione ben definita nella società in cui vivono. L’approccio filosofico è l’essenza di questo lungometraggio definito in più occasioni un “disincanto poetico”. Un lavoro che si presta a più livelli di lettura come sono tanti gli ambiti di riflessione (filosofico, religioso, sociale e culturale). Non esiste un epilogo e non ci sono eroi: il finale è aperto e nella lotta tra bene e male non vince nessuno, come spesso accade nella vita. Spicca la colonna sonora originale, la cura della fotografia e la forza recitativa degli attori. Il film ha vinto 26 premi internazionali (in tutti i comparti creativi), 8 nominations e 27 selezioni.

Silvia Natella 30/10/2017

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