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Noi, “Rapiti” da Bellocchio: la recensione dell’ultimo film del regista che ha provato la Nouvelle Vague Italiana

I fatti di casa Mortara non hanno riguardato solo Bologna, ma tutta l’Italia e l’Europa di metà Ottocento e Bellocchio ce l’ha voluto far vedere. Un bambino ebreo (Enea Sala, Leonardo Maltese) un giorno del 1858 viene rapito da dall’inquisitore domenicano Padre Feletti (Fabrizio Gifuni) per volere del Papa regnante, Papa Pio IX (Paolo Pierobon). Da qui per i Mortara incomincia un vero e proprio girone infernale, la mamma e il papà del bimbo (Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi) sono coinvolti nell’estenuante tentativo di sottrarre il figlio dalle grinfie del Pontefice.

Una serie di domande beckettiane e di dubbi amletici su chi, cosa, come e perché, fa eco nelle mura e nei portici di Bologna, dove ragazzi, futuri partigiani e famiglie intere si interrogano sul reale motivo del rapimento che a breve uscirà allo scoperto. Sembra che Edgardo sia stato battezzato all’età di sei anni e per quanto assurdo e impensabile, stando al diritto canonico dell’epoca, il piccolo a seguito di questa “benedizione amatoriale” era tenuto necessariamente a ricevere una educazione cristiano cattolica. Il battesimo era avvenuto per mano di una donna, cristiana, che viveva in casa Mortara e che un bel giorno aveva pensato bene di prendere una ciotola d’acqua e battezzare il piccolo che stando alla testimonianza  della governante, “era in fin di vita” e che avrebbe rischiato di morire e di andare all’inferno, in quanto ebreo. Questo gesto che aveva tutta l’aria di essere un semplice scherzo o un errore da poco conto, diventa ben presto un vero e proprio affare di Stato. La donna anni dopo confessa pubblicamente di aver battezzato Edgardo e da quel momento in poi, la croce disegnatagli in fronte diventa così pesante e robusta da gravargli sulla spalle e sul suo stesso futuro. In un vero e proprio gioco dell’assurdo, il danno oramai è  fatto e senza se e senza ma Edgardo arriva in convitto a Roma e fa amicizia con altri bimbi, perlopiù ebrei, provenienti da tutto il Paese. 

Più il tempo passa, più il piccolo Mortara si abitua alla sua nuova quotidianità e  ben presto la vita che ricordava, quella bolognese e quella ebrea, se l’è già dimenticata. Brecht in  La scena di strada dice che un attore quando vuole interpretare un personaggio e  raccontare una storia lo deve fare immaginandosi al di fuori, pensando alla  narrazione di un incidente. Solo così sarebbe possibile maneggiare e dare una forma e una vita a qualcosa che forma e struttura non ha.  Non bisogna imitare ma solamente spiegare ciò che si è visto, ciò che si vorrebbe vedere. Questo è proprio il caso di Bellocchio che si è fatto scorrere fra le dita un fatto turpe e così profondamente vero e pure dimenticato che aveva bisogno di formarsi nelle menti di chi (forse) altrimenti non l’avrebbe mai conosciuto. E ha deciso di farlo ora, nel 2023, in una epoca condizionata (per fortuna) dal desiderio di fare luce su quei danni e quei misfatti di cui spesso e volentieri il clero si è macchiato.Del resto giusto un anno fa è uscita la docuserie Netflix sull’irrisolto caso Orlandi che ha ottenuto un gran successo dalla critica e dagli spettatori di ogni età. Questo prodotto streaming è stato un modo per far riflettere  anche i millenials sugli scandali degli anni Ottanta e per far capire quanto a distanza di quasi quarant’anni sia ancora importante continuare a parlarne. Oggi è finalmente possibile comunicare e condividere informazioni su dei fatti che sono ancora irrisolti o semplicemente troppo duri e difficili da digerire.

Come il caso Mortara e la storia di un Papa (e non un orco) che rapiva i bambini. Insomma, alla fine, il film di Bellocchio ha deluso soltanto a Cannes, perché il regista, il cast e tutti noi fan avevamo sperato in un suo successo in terra straniera, perché la sua è una filmografia italiana che ha conosciuto  l’America e l’Europa e Rapito è esattamente l’espressione non tanto del suo Cinema ma del Cinema in generale. Bellocchio è un regista che ha provato e ha visto nascere (e poi naufragare) la possibilità di una Nouvelle Vague Italia insieme a Pasolini e Tinto Brass, che possiede quella ferma convinzione di essere stato e di esser ancora a distanza di decenni uno dei protagonisti di un Cinema nuovo, Italiano, possibile. 

Ecco, con Rapito tutto questo si vede, l’incantesimo è riuscito ancora.

Ilaria Ferretti 01/06/2023

 

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