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“I Migrati”: il diverso che racconta il diverso nel documentario di Francesco Paolucci

Esiste un modo giusto di raccontare il fenomeno delle migrazioni, che sta caratterizzando il nostro secolo? A primo impatto, potremmo dire sì, quello dei media, ma siamo sicuri che la sovrabbondante produzione di articoli e opinioni che la rete, la televisione e i giornali fanno circolare, siano sempre utili alla comprensione di un fenomeno in continuo divenire? Ogni giorno i media si riempiono di parole come “profugo”, “migrante”, “richiedente asilo”, generando il più delle volte solo un’incredibile confusione e puntando l’attenzione non tanto sull’informazione oggettiva e corretta, quanto sul sensazionalismo. Le storie raccontate finiscono tutte per assomigliarsi e quello che ne deriva il più delle volte è una reazione nel lettore di paura, incomprensione e odio.
Dall’esigenza di fare chiarezza in questo sconfinato mondo, fatto di uomini, che fuggono in mare, è nata lo scorso anno la rassegna cinematografica Remix. Un evento che usa il cinema come mezzo comunicativo per raccontare, ma allo stesso tempo informare, il pubblico sul fenomeno migratorio contemporaneo. A proporre l’iniziativa da una parte il mondo cinematografico con il cinema Kino di Roma, dall’ altra l’approccio scientifico con il DSU, Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale, e l’ILIESI, Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee del Consiglio Nazionale delle Ricerche, meglio noto come CNR. Una manifestazione che quest’anno, come l’anno scorso, ha cercato di aprire interessanti spunti di riflessione sulla contemporaneità, non solo dando la possibilità al pubblico di vedere documentari italiani e stranieri, funzionali alla causa, ma anche allestendo incontri e dibattiti, alla fine di ogni proiezione, con esperti e registi.migrati02
Tra le proposte di quest’anno di Remix (al cinema Kino dal 26 al 28 maggio) “I Migrati” di Francesco Paolucci, racconta il fenomeno migratorio con uno sguardo nuovo, inaspettato, quello di Benito, Barbara, Gianluca e Giovanni. Tre uomini e una donna adulti, ma che osservano la realtà con ingenuità, freschezza, allegria, senza essere schiavi di sovrastrutture e pregiudizi. I quattro fanno parte della “Comunità XXIV luglio, handicappati e non” dell’Aquila, un centro diurno dove tra le varie attività in passato hanno avuto la possibilità di incontrare giornalisti e fotografi professionisti. Da questi incontri, visto la predisposizione al racconto dei ragazzi, è nata l’idea del documentario di Paolucci. Se l’informazione non riesce più a guardare la realtà con obiettività, perché non farla raccontare e osservare da chi ha uno sguardo ancora puro, come quello di un bambino?
migrati04In un’ora “I Migrati” riesce più di tante parole, dibattiti e articoli, a descrivere realisticamente la situazione contemporanea senza scadere nella retorica e nell’ovvio, a dare voce ai migranti, attraverso le domande semplici, ma non per questo banali, dei quattro simpatici protagonisti. Da “che cos’è il rabadam?” a “tu ce li hai i documenti” i quattro amatoriali giornalisti, armati di macchinetta fotografica e videocamera, hanno attraversato il Lazio, le Marche, l’Abbruzzo e il Molise e parlato con i ragazzi, ospitati nei piccoli borghi di queste regioni. Non c’è malizia, né risentimento, né cattiveria nei loro occhi e nelle loro domande, a spingerli è una curiosità genuina, verso qualcosa che non conoscono. Una diversità, la loro, che incontra un’altra diversità, quella di questi ragazzi, arrivati in Italia da mesi e ancora in attesa di avere i documenti. Uno scambio reciproco sano, da cui prendere esempio, che dimostra come oggi il concetto stesso di diversità abbia assunto una forma liquida, mutevole, difficile da definire. Il documentario di Paolucci affronta il problema dell’immigrazione e dell’handicap senza salire su un piedistallo e dare giudizi e sentenze, ma piuttosto domandando e interrogando i protagonisti diretti, i migranti, ma anche i residenti delle città in cui si trovano i centri di accoglienza. Luoghi spopolati, dove la maggior parte degli abitanti sono adulti.
Forse allora è questo il problema dei media oggi: non si interrogano più sul mondo, ma cavalcano l’onda incontrollabile dei like o dell’audience. Torniamo allora alla domanda iniziale. Esiste un modo giusto per raccontare il fenomeno migratorio? La risposta non c’è, ed è un bene forse che sia così. Perché, come spiegano Benito, Barbara, Gianluca e Giovanni, bisogna continuare a farsi domande, a interrogare il mondo per capire in che direzione stiamo andando. La curiosità è forse oggi l’unica arma con cui poter combattere il sempre più dilagante sentimento di intolleranza.

Eleonora D’Ippolito 29/05/2017

 

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