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12° Festa del Cinema di Roma, l’incontro con Xavier Dolan

Nella seconda giornata della Festa del Cinema di Roma 2017 è il regista Xavier Dolan a incontrare il vasto pubblico che lo accoglie calorosamente nella sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica. A soli ventotto anni, Dolan è già considerato un autore in piena regola e ha collezionato numerosi riconoscimenti dalla critica internazionale. Una chiacchierata piuttosto lunga con Antonio Monda, direttore artistico della Festa, svela cosa c’è dietro le sue creazioni.

Attore o regista?
“Penso di preferire la recitazione. In un certo senso recito anche quando dirigo, così placo il mio bisogno di esprimermi per un paio di settimane o di mesi. Inoltre imparo tantissimo anche degli stessi attori, seppur devo ammettere che recitare mi manca.

“J’ai tué ma mère” (2009), il primo film
“A 21 anni avevo necessità di raccontare la mia storia, volevo iniziare in qualche modo. Possedevo esclusivamente un diploma e come attore ero disoccupato, dunque ho pensato di poter ingaggiare me stesso. È stato più complicato del previsto, ho investito tutti i miei risparmi. Con quel film volevo risolvere un problema, quello di uccidere simbolicamente il rapporto con mia madre per iniziare la mia vita.”

A proposito del pianosequenza di confronto in “Les Amours imaginaires” (2010)
“Noi registi - credo di parlare per la maggioranza - amiamo la singola inquadratura. Un pianosequenza permette di creare una certa tensione, ma gestire una coreografia di questo tipo richiede la massima concentrazione da parte degli attori e di tutto il cast tecnico. Spesso accade che la durata sia eccessiva, nello specifico in questa sequenza l’interprete è stata fantastica, ma ad un certo punto abbiamo dovuto tagliare. Le singole scene non devono mai schiacciare il film. La storia viene per prima, sempre. xavierdolan02

Le ispirazioni

“Ammetto che non ho visto moltissimi film nella mia vita. Capita che mi parlino di celebri lungometraggi, io rispondo di non averli visti e leggo la delusione nei loro volti. Spesso mi vergogno che ci siano così tante mancanze nella mia cultura cinematografica. Certamente ho rivisitato delle trovate stilistiche, di altri registi, che mi avevano colpito particolarmente. Ad esempio mi sono innamorato dello slowmotion quando ho visto In the mood for love di Wong Kar-way, l’ho ripreso in alcuni miei film, fino a che non ho trovato l’esatta velocità che cercavo. Tempo fa ho letto il libro Steal like an Artist di Austin Kleon, un testo colmo di citazioni che legittimano i prestiti artistici. Ne ricordo una di Francis Ford Coppola: ‘Rubate da noi, fino a che un giorno noi ruberemo da voi.’

“Laurence Anyways” (2012) e il rapporto tra felicità e libertà
“È vero che i miei personaggi generalmente diventano chi vogliono, ma non sempre raggiungono la felicità. Esistono tanti film che narrano di persone che non hanno fortuna e non lottano per averla, in molti la chiamiamo ‘pornografia del povero’. Io invece amo i combattenti, chi in fondo ha una speranza e fa di tutto per affermare la propria identità. La società ha problemi con le persone autentiche perché sono in grado di svelare la falsità altrui. A me piace chi non ha bisogno di nulla per affermarsi, chi ha dentro un desiderio e lo realizza. Certo, può accadere che tali individui non riescano ad essere felici, ma è sempre colpa della vita, non loro.”

“Tom à la ferme” (2013)
“È il film con cui ho trovato me stesso. Lo definirei un thriller psicologico, visti i temi e la suspense, anche se non avendo una formazione accademica, mi manca questo tipo di linguaggio.”

La passione per “Titanic” di James Cameron
“Venero Titanic, credo che sia un capolavoro dell’intrattenimento moderno. Guardo i film con il cuore e quando lo vidi per la prima volta avevo otto anni e fu come se mi dicesse: ‘Vola, non farti problemi a sognare’. Pur non raggiungendo un’assoluta perfezione tecnica, mi ha ispirato profondamente.”

“Mommy” (2014) e il rapporto con i genitori
“I miei genitori amano i miei film. Mia madre è molto orgogliosa, è venuta persino con me a Cannes per la proiezione di È solo la fine del mondo. Loro non sono affatto preoccupati in merito alle figure genitoriali di cui parlo nei miei lungometraggi, semplicemente perché non ci sarebbe alcun motivo di riconoscersi in quei personaggi. Solo nel mio primo film ci sono dei riferimenti autobiografici, dopodiché ho continuato a trattare temi a me cari, ma non strettamente legati alla mia vita.”

L’ammirazione per “Call me by your name” di Luca Guadagnino
“L’ho visto due settimane fa e l’ho trovato tenero, forte, saggio. È un’opera che insegna qualcosa sull’amore, ma soprattutto sul dolore. Nella mia vita ho provato le pene del rifiuto d’amore o della sofferenza legata a una relazione e quei sentimenti mi hanno ispirato. Non sono molti i film che celebrano la bellezza del dolore. Guardando Call me by your name mi sono sentito profondamente compreso.”

Tra i suoi film preferiti, l’intenso “Birth” di Jonathan Glazer
“L’ho scelto per poterlo finalmente vedere sul grande schermo, ero troppo piccolo quando è uscito in sala. La scena che avete mostrato è una meraviglia dell’estetica, tutto è perfettamente curato. Da quando Nicole Kidman si siede sulla poltrona, è immobile, ma nel suo sguardo si percepisce tutto ciò che sente interiormente. In questa scena non c’è niente, ma dà tutto. La vera qualità di un attore, in fondo, è saper ascoltare gli altri.

Sara Risini 28/10/17

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