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L'arteficio di un ordine: Cortázar alla compagnia Barone Chieli Ferrari

Il cantiere di una costruzione, oltre ad essere il passatempo dei vecchi che intendono presenziare alla nascita di un nipote in comune, è un luogo embrionale, dove la città prende il suo profilo. Ciò che riceve vita al suo interno ospiterà identità differenti per lingua e odore, è destinato a un ufficio preciso ma, quel che è più importante, partecipa monumentalmente lungo le vie cittadine.
A Roma, al 93 di via Gustavo Modena c'è un teatro, Il cantiere, che negli ultimi due giorni di Aprile ha tenuto in grembo la compagnia di teatranti Barone Chieli Ferrari (con Emilio Barone, Alessandra Chieli e Massimiliano Ferrari) ed è stato loro abitazione: un appartamento dove scrivere una "lettera a una signorina a Parigi".
Nel 1951, in Italia per Einaudi nel 1974, Julio Cortázar, quel franco-argentino che incise l'esperienza delle due città che l'hanno allevato, in un iperromanzo chiamato "Rayuela" – Il gioco del mondo, concede alle stampe non un romanzo epistolare ma un "Bestiario", la cui archeologia sembra riconducibile tematicamente a quella dei testi allegorici medievali. Ma Cortàzar non ha intenzione di costruire fantasticherie per le interpretazioni psicanalitiche, egli intende liberarsene in uno sboccamento perfettamente adeguato al reale, dove la minuzia stilistica focalizza talmente il dettaglio da costituire essa stessa l'assurdo del racconto, che è breve quanto un'opinione ma tanto fitto di ritmi, pulsazioni e inaspettate calamità da adattarsi al dialogo teatrale.
Emilio Barone è un inquilino del palcoscenico non dissimile da quello residente nello scrittore, abita l'appartamento di un'amica lontana per un viaggio a Parigi e inciampa, per lo stesso numero di volte, negli stilemi dell'ordine di una casa arredata secondo la "reiterazione visibile dell'anima" di una donna. In silenzio sfugge l'echeggiare dei passi di una governante, incastra i cocci di errori suoi che sparge per la stanza e sfida l'equilibrata prospettiva che un portacenere di cristallo può alterare se disposto in un punto differente da quello prestabilito: un'urgenza da ammettere lo porta alla confessione, Emilio vomita conigli e s'impaurisce d'essere meravigliato nel farlo, perché a casa sua aveva disposto un'abitudine escogitata per convivere con la propria psicosi, poteva permettersi di adattare l'irreale al quotidiano secondo un'intima pianificazione. Ma nell'altrove di un luogo che non gli appartiene, dove ogni pulviscolo è pregno dell'odore del proprietario, non può abitare e si costringe a registrare un messaggio, dapprima incespicando sulle parole e, dopo la consapevolezza d'averle dette, sempre più convulsamente; le sue creature sono fiotti andati alla deriva che disturbano il suo impegno di mantenere lo stato delle cose.
Allora una sonorità urlata e l'irridescenza degli spiragli di una finestra sul baratro profilano una decisione: poiché ogni cosa ha una durata superiore a quella comandata, talvolta è essenziale intromettersi.

Francesca Pierri 02/05/2016

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