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“Costellazioni”: quando l’amore incontra la fisica quantistica

“Costellazioni”, l’ultimo testo firmato da Nick Payne e diretto da Silvio Peroni (andato in scena al teatro Brancaccino di Roma dal 17 al 19 marzo), è uno spettacolo che potrebbe scomodare facilmente parole come determinismo, libero arbitrio e fatalismo ma crediamo che per comprendere in pieno il senso dello spettacolo sarebbe utile soffermarsi su una profondità più umana e meno teorica.
La storia d’amore presentata si muove armoniosamente tra la metafisica, la casualità e il destino; l’incontro tra Orlando e Marianna darà vita alle infinite e multiformi possibilità che la vita offre, mille mondi in cui abbiamo scelto in modo differente. Basta un gesto, un’azione o perfino un tono di voce per modificare una vita intera. Può nascere o morire un amore. Un matrimonio può diventare un tradimento. Per non vivere in un incubo esistenzialista l’uomo osserva le stelle e, puntando il naso all’insù, dà a loro la responsabilità ma soprattutto tutte le colpe, per i guai e per le scelte sbagliate, quelle che non avevi previsto e che solo un disegno più grande può giustificare.
Nick Payne (giovanissimo talento del teatro inglese) parte da un semplice rapporto di coppia per spiegare una teoria della fisica quantistica che sostiene l’esistenza d’infiniti universi: tutto quello che può accadere nella vita di un uomo e di una donna sta accadendo da qualche parte in un altro universo. Il pensiero filosofico-scientifico presentato non appesantisce in alcun modo un testo magistralmente scritto ed equilibrato: non è quella filosofia da banchi di scuola, ma ha il sapore di quella saggezza semplice che non disturba paroloni da settantadue lettere per essere chiara. Un testo ricco, mai banale, divertente e intelligente (una rima sempre più rara) con una struttura solo apparentemente regolare: dopo pochi minuti il pubblico comprende il gioco di specchi multipli alla “Sliding Doors” ma rimane dubbioso su alcuni momenti in particolare di cui non riesce a percepire immediatamente il valore nella storia. Lo spettacolo è attraversato per tutto il suo percorso da una seconda linea narrativa che viene spezzettata e poi ricomposta nel finale quando lo spettatore viene messo al corrente di uno dei possibili futuri previsti per la coppia. Il riso lascia il posto a respiri affannati e tristezza: una stessa scena provoca molte risate ma successivamente turberà l’animo. Questa manipolazione delle emozioni è senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti dell’intera opera.
Scenograficamente minimal e squisitamente teatrale, “Costellazioni” non lascia nulla al caso e per rendere chiara la costruzione degli universi paralleli non utilizza “aiutini” cinematografici ma rimane in un contesto spettacolare che crea un effetto quasi magico. Il cielo di “Costellazioni” ha l’aspetto di un telo cosparso di piccole lampadine le quali accendendosi e spegnendosi modificano la vita della coppia con il loro moto; ad ogni passaggio, le luci delle stelle sono accompagnate da un rumore quasi meccanico (di una leva o di un ingranaggio) come per segnalare il cambio di rotta di una o più vite.
Il testo si consegna completamente nelle mani di due ottimi attori che lo porteranno in scena in maniera eccellente: sia Jacopo Venturiero che Aurora Peres riescono a mettere la stessa intensità in ogni scena riuscendo a creare, non una serie di sketch isolati ma un flusso di coscienza universale che avvolge lo spettatore che ne viene completamente catturato. Quando il sipario cala, il pubblico rimane con l’amaro in bocca: ne vuole di più, molto di più. La motivazione va oltre la bellezza artistica dell’opera (che è sicuramente innegabile) ma arriva diretta alla voglia di umanità. Un’umanità infinita che “Costellazioni” tenta di racchiudere su un palcoscenico e, facendolo, mostra uno degli obiettivi principe che il teatro dovrebbe sempre porsi: rendere visibile e intellegibile ciò che è effimero alla realtà.

Matteo Illiano 24/03/2016

Foto: Luigi Angelucci

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