La scena bitonale – un simil tatami bianco contro il fondale nero – esalta il movimento dinamico dell’ombrellino cinese giallo, retto da Claudia Mariscano, così simile alla corolla di un fiore, a un girasole, a una stella, a un lampo di luce. È il primo elemento di contatto con il nuovo spettacolo di Simone Perinelli, “Made in China - Postcards from Van Gogh” (prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana), il primo indizio di un cammino a spirale difficile da ripercorrere al contrario, a meno di non lasciarci la pelle e il cuore, il loop che attraversa l’intera drammaturgia.
L’immagine diventa parola e suggestione grazie al complesso e solido lavoro dell’attore e regista romano, che, con monologhi lirici e potenti e nei passo a due con la bravissima Mariscano, è capace di far respirare la furia artistica e vitale del pittore olandese, avvicinandolo con prepotenza alla nostra percezione, al nostro sentire. “Ogni cosa che facciamo parla di noi” sostiene all’inizio: il corpus (narrativo e biografico) di Van Gogh viene smembrato da Perinelli che ne porta in scena una parte, l’ultima, dal periodo di Arles alla morte disperata, e attraverso le sue opere - dagli autoritratti, compreso quello con l’orecchio bendato, passando per i girasoli, La camera di Vincent ad Arles, i due dipinti delle sedie, fino a Notte stellata e ai corvi premonitori – parla, grida, si avvicina a una contemporaneità povera di contenuti e falsamente glitterata, appunto “made in China” dove tutto è facilmente riproducibile, sostituibile, replicabile (il brillante solo dell’attrice dedicato alle cinque regole del selfie perfetto è il punto focale di questo nucleo narrativo).
La messa in scena si compone di poetici quadri biografici e brillanti interludi orientali ed è proprio tale contrasto a far leva sulle possibili antitesi concettuali per spiazzare, sedurre, generare smarrimento. C’è la follia dell’uomo, risucchiato all’interno di una personalità unica e prorompente, e la perdita di personalità del contemporaneo; c’è l’uso del colore nel genio, per placare o esprimere un sentire sempre nuovo, e il colore nel feng shui preso a guida dai moderni home designer (uno dei momenti più ironici dello spettacolo, nel quale i due attori mettono in risalto una profonda sintonia e una piena personalità collettiva); c’è la furia amorosa che genera dipendenza dall’altro e il “siamo tutti necessari, ma nessuno è indispensabile” (il cinese che uccide il proprio operaio perché non rispetta i sovrumani ritmi di lavoro richiesti).
Perinelli dà voce, sublimandola, alla disperazione di Van Gogh, ai suoi sentimenti sgargianti e compulsivi, alle patologie, alle paranoie, alla ricerca della perfezione, alle voci imprigionate nella sua mente, al suo rapporto con le donne, con il fratello, con Gauguin. Ci travolge, con una carica emotiva palpabile; ci trascina dentro a un manicomio fatto di speranze, sangue e battiti; ci richiama al silenzio e all’introspezione davanti a due sedie vuote e alle parole ossessive rivolte all’amico Gauguin “se decidi di andartene, porta via anche la sedia, altrimenti continuerò a parlarti, avendo la sensazione che tu sia sempre qui, e peggio ancora che tu mi stia rispondendo”. La chiamano sindrome dell’arto mancante.
“Made in China”, già al debutto nazionale a Pontedera, dimostra potenza drammaturgica, scrittura corposa e virtuosa e diretta emozionalità. Un volo altissimo, poetico, volutamente notturno. Perché, come diceva lo stesso Van Gogh, "spesso ho l'impressione che la notte sia molto più viva e riccamente colorata del giorno".
Credits spettacolo: http://www.centroperlaricercateatrale.it/event/made-in-china/
Giulia Focardi 06/10/2015