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“Vinyl”, Scorsese e il porto sicuro delle serie tv

Che il cinema e la televisione siano sempre stati grandi rivali è cosa nota. Ma che negli ultimi anni la serialità televisiva sia arrivata a minacciare seriamente le produzioni destinate al grande schermo forse lo è meno. Uscite dal contesto di nicchia per super appassionati che le ha contraddistinte per molto tempo, le moderne serie tv hanno invaso il campo della settima arte coinvolgendo anche chi era sembrato totalmente impermeabile alle opportunità del tubo catodico. I grandi attori, fino a qualche anno fa. Ma ultimamente anche i grandi registi, che sempre più numerosi hanno abbandonato il loro habitat naturale per sperimentare esperienze nuove entro un’industria creativa in fermento come quella televisiva.
«Molti dei cineasti di oggi fanno televisione, il miglior posto in cui un regista oggi possa lavorare. Si sviluppa un personaggio in profondità e le storie sono più complesse e profonde che al cinema» dichiarava qualche tempo fa il papà dell’Esorcista William Friedkin, denunciando la deriva “seriale” del cinema a fronte della percentuale elevatissima di blockbuster d’animazione prodotti dalle major americane. Ma se saghe, videogiochi e supereroi hanno monopolizzato l’offerta lasciando margini di libertà ridotti ai maggiori talenti cinematografici, fortunatamente per loro si è profilato all’orizzonte un porto sicuro, quello del piccolo schermo. Non solo con il boom di adattamenti da film di successo che ha contraddistinto negli ultimi anni, da Gomorra a Fargo (fino allo stesso Esorcista, di cui si vocifera in queste ore il ritorno in versione serial firmato Friedkin), il mercato americano e nostrano, ma soprattutto con l’uscita di prodotti originali di grandissima qualità grazie ai quali alcuni mostri sacri hollywoodiani si sono cimentati per desiderio di sfida, vanità o effettiva occasione di ricerca.
Lynch (Tween Peaks II), Scott (The Hot Zone), Aronofsky (MaddAdam), McQueen (Codes of Conduct). E poi Allen, arruolato dal colosso Amazon per una serie ancora senza titolo con Miley Cyrus; e l’italiano Sorrentino con The Young Pope, protagonisti Jude Law e Diane Keaton. Chi manca all’appello in questo ricchissimo 2016? Martin Scorsese e il suo attesissimo Vinyl, ideato da Terence Winter (già autore dei Soprano, ma anche creatore di Boardwalk Empire e The Wolf of Wall Street, entrambi diretti e prodotti da Scorsese) e prodotto insieme a Mick Jagger, in onda il prossimo 14 febbraio sul canale americano HBO e, il giorno successivo, anche in Italia su Sky Atlantic. Dieci episodi da circa un’ora (con pilot diretto da Scorsese) dedicati alla scena musicale newyorkese dei primi anni Settanta (1973, più precisamente) e imperniati sulle traversie professionali e private di Richie Finestra (Bobby Cannavale), produttore discografico sul viale del tramonto, disposto a lanciare una band punk semisconosciuta (gli immaginari Nasty Bits, tra cui figura il front-man James Jagger, figlio di Mick) pur di difendere la propria etichetta (la fittizia American Century Records) dai tedeschi della Polygram. Un viaggio dentro il ruggente impero del rock made in USA imbottito di sesso, droga, mafia e feste in quantità deliranti, ma anche un affresco inedito sull’approdo delle prime band (alcune reali come i Led Zeppelin e le New York Dolls) nel tempio underground del CBGB’s e sull’avvento successivo dell’hip-hop e della disco. Una serie culto da “far rizzare i capelli” o i “pelli del collo” (sulla falsariga degli eccessi ben noti del Wolf), come recita il trailer parlando di hit che hanno segnato un’epoca, di quelle che scatenarono intere generazioni sospese tra i miti infranti degli anni Sessanta e le smanie anticonformiste della new wave.
Martin Scorsese e Mick Jagger, entrambi ultrasettantenni, avevano già accarezzato il progetto di Vinyl nel 1995 quando il regista diresse Casino: la rockstar lo chiamò proponendogli di fare un film simile incentrato sul mondo della musica, sui manager eccentrici che avevano in mano il business degli artisti e delle case discografiche in quegli anni (gli stessi in cui Scorsese usciva con Mean Streets), ma c’era troppo da raccontare. Sono trascorsi vent’anni da allora e otto dall’ultima collaborazione in Shine A Light, documentario sul concerto dei Rolling Stones al Beacon Theatre di New York. Scorsese non ha mai smesso di farsi influenzare dall’energia rauca degli Stones e Jagger di reinventarsi continuamente. C’è da credere, complice anche l’omaggio nel sesto episodio della serie a un altro camaleonte del rock, David Bowie, che anche questo nuovo incrocio farà il botto.

Trailer ufficiale HBO: https://goo.gl/ghN4Tk

Valentina Crosetto 27/01/2016