Ci sono telefilm che nascono da un modello produttivo codificato e volutamente reiterato nel tempo, per i quali “serialità” è sinonimo di garanzia di successo e, insieme, il più grande limite; altri in cui il processo creativo tende a sfruttare tutte le componenti del linguaggio, al fine di mettere in quadro un racconto che ne esprima piuttosto le potenzialità e la ricerca di una qualità sempre maggiore. Si è discusso a lungo, e si continua a farlo, di come la settima arte abbia nobilitato il piccolo schermo. Di esempi che attestano l'ormai labile confine tra i due medium ce ne sono tanti, ma se la questione la si applicasse a Paolo Sorrentino allora il discorso assumerebbe una particolare rilevanza, mettendoci davanti un'immagine aggiornata delle attuali strategie dell'industria televisiva e al contempo rinnovando quella del regista.
“The Young Pope” vede protagonista Jude Law nei panni di Pio XIII, al secolo Lenny Belardo, primo papa americano della storia eletto, a soli 47 anni, dai porporati convinti di rinnovare il ciclo con un Pontefice facilmente manipolabile. Ciò che vediamo, invece, è un personaggio imprevedibile, tormentato, che intende rompere le logiche di potere in Vaticano. Nomina Suor Mary (Diane Keaton) come sua assistente personale - la suora che l'ha cresciuto da piccolo in orfanotrofio dopo l'abbandono dei genitori partiti per Venezia - scontrandosi da subito con il Cardinale Voiello, il segretario di Stato, l'uomo delle macchinazioni interpretato da un impeccabile Silvio Orlando.
Un Papa che beve Coca Cherry Zero a colazione, che esprime idee progressiste ma è inflessibile riguardo certe questioni – nello specifico l'omosessualità – spiazzante con chi tenta di carpirne gli intenti in vista della prima omelia.
Al netto di due episodi, Sorrentino riesce ancora una volta a filmare l'infilmabile, quell'interferenza che interrompe il segnale della radio vaticana e che dà tanto fastidio a Lenny, “il dettaglio in più” che ci ribadisce il grado di profondità della scrittura del regista napoletano. I silenzi, le confessioni, i rapporti tra i personaggi, tutto sembra governato da una contraddizione di fondo; da due visioni contrastanti della Chiesa, dai dubbi su Dio e la natura dell'uomo. Pio XIII arriva addirittura a negare la propria immagine, fa dell'assenza la chiave per raggiungere il consenso – lo spiega alla responsabile del merchandising – al punto di restare nell'ombra agli occhi dei fedeli mentre pronuncia il discorso.
Sorrentino, grazie al supporto di un cast eccellente e di una produzione ambiziosa (Sky, HBO, Canal+), è riuscito a creare un'opera che rispecchia l'ambivalenza conflittuale delle figure che rappresenta; è sempre cinema eppure qualcosa di diverso. Chi ama il regista di lungometraggi ritroverà la tendenza al grottesco, l'impronta registica di “Youth” e tutti gli elementi dell'immaginario da cui potrebbe pescare all'infinito un autore dall'animo così fortemente visionario.
D'altra parte la serie – dieci episodi in onda in Italia su Sky a partire dal 21 ottobre – evidenzia in misura più ampia un nuovo modo di rapportarsi al pubblico, un modo che tenta dal principio di graduare la giusta empatia e immedesimazione. Buona parte della stampa ha reagito freddamente alla proiezione in anteprima, nonostante Sorrentino si ritrovi ad agire in un campo d'azione inedito e padroneggiando con maestria le tecniche dello storytelling.
“The Young Pope” attraversa diametralmente il panorama televisivo internazionale, un'interferenza, appunto, che in Italia potrebbe inaugurare un approccio differente alle forme del racconto a puntate, ad esempio la serie antologica. Una possibilità di cui dovrebbero tener conto i cineasti, magari volgendo lo sguardo verso il basso sperimentandola ai margini della società, di certo ricca di temi culturalmente urgenti.
Davide Antonio Bellalba 12/10/2016