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Dal caso del "Cecil Hotel" ad "Amanda Knox": il gusto morboso per il “True Crime”

Ormai da molti anni, non sembra quasi esserci dubbio che lo spettatore, mentre si approccia ad un film, ad una serie, ma anche ad un programma televisivo, sia sempre alla ricerca di storie che siano il più reali possibili; i film biografici o horror «basati su una storia vera», per esempio, spopolano da molto prima degli anni duemila e della rivoluzione seriale. A questo si aggiunge il morboso gusto per il pericolo, il macabro, il dramma che contraddistingue tutti i tipi di pubblico da sempre, affascinato dalle narrazioni che vanno a costruirsi attorno a fatti scabrosi (e per rendersene conto, almeno in Italia, basta accendere un telegiornale durante i servizi di cronaca).
Le piattaforme online, ormai la principale fonte – e, nell'ultimo anno, unica - di distribuzione di film e serialità, hanno intercettato quest'esigenza dello spettatore, proponendo un fiorire di docuserie crime che innestano insieme la ricostruzione di finzione e la forma di ricerca documentaristica.
Anzi, forse lo stesso Netflix si era fatto, come spesso accade, promotore del genere, vista la forte risonanza ottenuta qualche anno fa da “Narcos”, che applicava un finto impianto di documentario ad una serie di sola ricostruzione. E' proprio su Netflix infatti che si trova oggi una nutrita schiera di serie tv che hanno abbandonato quello che era la finta forma documentaristica della storia dei cartelli colombiani e raccontano invece mettendo insieme la fiction e un massiccio utilizzo di interviste ai protagonisti reali e immagini di repertorio; il parco di titoli di questo tipo è così ampio nel colosso internet tanto da avere una propria sezione, dal programmatico titolo True Crime.
Al suo interno, la recentissima “Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel” che racconta la morte di Elisa Lam, avvenuta nell'omonimo albergo nel 2013. Ma questa è solo l'ultima di una delle serie True Crime proposte nel catalogo solo in questi primi mesi dell'anno: è dello scorso febbraio “Omicidio tra i mormoni”, affresco sugli omicidi bombaroli avvenuti nella comunità mormona delle Utah nel 1985. Serie che arrivano dopo un massiccio numero di titoli che nello scorso anno hanno riscosso un enorme consenso: in piena pandemia, arrivava poco meno di un anno fa “Tiger King”, sulla controversa vicenda di Joseph Allen Maldonado-Passage, famoso come Joe Exotic, e il suo surreale 'zoo' di felini in Oklahoma.
Anche  “Making a Murderer” è stato un caso eclatante per il successo che ha riscosso negli Stati Uniti. La serie scritta da Laura Ricciardi e Moira Demos per Netflix si divide in due stagioni da dieci episodi. Entrambe si basano sull’arresto di Steven Avery, criminale scagionato e poi imprigionato di nuovo a seguito dell’intervento della Corte per i processi d’appello degli Stati Uniti. Le due stagioni discutono se lo stesso Steven Avery sia veramente lo stupratore-assassino della fotografa Teresa Halbach. Vincitrice d’innumerevoli Primetime Emmy Awards, “Making a Murderer” è punta di diamante nei crime drama. “American Crime Story” prodotto da FX è invece incentrato sui casi più eclatanti del mondo legale e criminale americano. Si divide in tre stagioni: la prima sul caso OJ Simpson, la seconda sull’omicidio di Gianni Versace. Un True-Crime drama che sarebbe dovuto spaziare anche sull’uragano Katrina, ma poi si è preferito optare sull’empeachment al quarantaduesimo presidente americano Bill Clinton. Con un cast stellare composto da Cuba Gooding Jr. come OJ Simpson, Sarah Paulson / Marcia Clark, David Schwimmer / Robert Kardashian e John Travolta nei panni di Robert Shapiro. Nella seconda stagione su Giovanni Versace, vestono i ruoli dello stilista Édgar Ramírez e del suo killer, rappresentato da Darren Criss. Nel cast anche Ricky Martin e Penélope Cruz.

Un altro titolo del genere true crime è “Amanda Knox” disponibile su Netflix che riprende in taglio documentaristico in due episodi l’omicidio di Meredith Kercher. Diviso in due macro parti, il docufilm analizza il controverso caso. Con un taglio polarizzante su Amanda Knox (è colpevole vs non è colpevole) il drama è composto da interviste all’omonima protagonista, al suo ex fidanzato Raffaele Sollecito, al procuratore italiano Giuliano Mignini e ad altre persone coinvolte nel caso, le indagini e i conseguenti processi legali. “Conversations with a Killer: The Ted Bundy Tapes” è una docu-serie in quattro episodi creata e prodotta da Joe Berlinger, disponibile anch’essa su Netflix. La serie traccia cronologicamente la vita di Bundy, i crimini, gli arresti, le fughe e la morte in dettaglio. Filmati d'archivio, prove della polizia, foto personali e le interviste di Stephen Michaud del 1980 nel braccio della morte sono fulcro della serie. Le persone legate al caso Bundy includono vittime sopravvissute, testimoni, la sua famiglia ed ex amici, insieme a funzionari, ufficiali e giornalisti.

Sempre in America, “Abducted in Plain Sight”, noto anche come “Forever B”, è un true crime drama del 2017 diretto da Skye Borgman. La serie documentario copre i rapimenti di Jan Broberg Felt, un'adolescente dell'Idaho che fu rapita dal suo vicino Robert Berchtold negli anni settanta in due occasioni. La storia è stata raccontata per la prima volta in Stolen Innocence: “The Jan Broberg Story”, un libro di memorie pubblicato da Felt e da sua madre. In particolare, Felt stessa è apparsa nel documentario. Inizialmente rilasciato in sala, il docu-show è stato prodotto da Top Knot Films e successivamente rilanciato da Netflix nel 2019, su cui è tutt’ora disponibile. Serie che hanno generato controversie ma estremo successo sia in patria che internazionalmente, segno che quando la realtà e la fiction hanno confini labili la curiosità per il macabro è infinita.

Gabriele Ragonesi, Gianluca Maffeis 20/03/21