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Dall’evento alla messa in scena: la Neotelevisione di Umberto Eco

«C’era una volta la Paleotelevisione...». C’era una volta una “giraffa” che non doveva farsi vedere. C’era una volta uno schermo in cui veniva raccontato il mondo. C’erano una volta pochi canali televisivi. Poi accadde qualcosa. Con il sistema di privatizzazione delle reti i programmi diventarono tanti e invasero lo schermo: nacque la Neotelevisione. L’autore di questo neologismo (qualcuno allergico alle ripetizioni perdonerà il doppio “neo”) è lo scrittore e filosofo recentemente scomparso Umberto Eco. Nell’articolo del 1983 “TV: La trasparenza perduta” contenuto nel libro “Sette anni di desiderio”, Eco descrive il cambiamento che coinvolge la televisione che da paleo diventa neo. Ma cosa sono la Paleotelevisione e la Neotelevisione? E oltre all’appartenenza a “ere” diverse, cosa le distingue?
La manipolazione dell’evento, che viene controllato nella Paleotelevisione e prodotto nella Neotelevisione.
Quando si fa spettacolo c’è una premessa che deve essere condivisa tra chi lo fa e chi ne fruisce: confidare in ciò che si vede anche se non è reale, ma semplicemente ricostruito nella sua forma autentica attraverso regole invisibili. Così nella Paleo tv ogni strumento, che serviva a rendere credibile la rappresentazione, doveva essere nascosto per creare l’illusione di non esistere. Sia nel caso dell’intrattenimento che in quello dei programmi di informazione, ben distinti nell’era della Paleo tv, il set doveva apparire naturale, un modo per accedere a un contesto indipendente da quello della televisione. Con la Neo tv, invece, avviene il passaggio dall’evento alla messa in scena e le dinamiche che regnavano si annullano ora in favore di un nuovo modo di intendere lo spazio televisivo. Se prima l’asta della giraffa doveva tenersi lontana dalla possibilità di essere ripresa e svelare segreti inconfessabili, con la Neo tv una telecamera dentro la parte di campo visibile dallo spettatore è una garanzia dell’assenza di artificio. Ma paradossalmente la naturalezza con cui vengono mostrati i ferri del mestieri ha dato il risultato opposto, ovvero quello di rendere la televisione più egocentrica, chiusa e disposta a proporre solo se stessa come soggetto da osservare. La Neo tv crea un movimento a spirale che si stringe e che non include semplicemente eventi, ma fatti prodotti del tutto o quasi in sede televisiva: «l’evento, catturato televisivamente al proprio nascere, è diventato messa in scena». La televisione diventa, infatti, produttrice di scene finte che si auto citano. Di fronte a questo cambiamento, iniziato negli anni ’80 e che continua tutt’oggi, lo spettatore percepisce la televisione come momento esclusivo in cui ritrovarsi. Peccato che questo ritrovamento si basi sulla perdita della relazione originaria tra uomo e mondo, perché la Neo tv non è trasparente, non lascia guardare oltre se stessa. Premettendo che comunque ci sono le eccezioni e che quindi è possibile trovare programmi in grado di raccontarci quello che accade fuori, ciò non basta per liberare il processo televisivo dall’ossessione di affermare la propria esistenza. Anche se probabilmente la televisione rimane il mezzo che meno dovrebbe temere la possibilità di essere ignorato dal pubblico.

Elisabetta Rizzo 15/03/2016