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Trent’anni del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richard: una prospettiva per la ricerca nel teatro e oltre il teatro

Un teatro povero, scevro del compiacimento dell’attore, dell’egoismo e dell’egotismo. Un teatro che possa procedere per sottrazione: eliminando la scenografia, il trucco, la luce, il suono, giungendo a una reale esperienza di verità tra interprete e pubblico. Sono questi i cardini del lavoro di Jerzy Grotowski, regista polacco e figura di spicco dell'avanguardia teatrale del Novecento, che decise di completare il proprio lavoro di ricerca a Pontedera, in Toscana, luogo in cui morì.
Proprio a Pontedera fu fondato trenta anni fa il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richard, un istituto di ricerca e formazione permanente per adulti, che sviluppa la fase di ricerca finale di tutta la sua vita. Thomas Richard e Mario Biagini, rispettivamente direttore artistico e direttore associato del centro, hanno lavorato col maestro per dodici anni creando, dal 1986, diverse strutture. All’Istituto Polacco di Roma, è l’occasione per discutere delle attività del centro durante questo trentennio e delle prospettive future.
“A quel tempo, si facevano cose che poche persone vedevano”. Racconta Biagini: “Non veri e propri spettacoli ma più precisi, senza spettatori: era raro che qualcuno fosse invitato. Pian piano, però, durante la fine della sua vita, Grotowski spinse a radunare sempre più persone e viaggiare, per scambi di lavoro con gruppi teatrali di tutto il mondo”.
Dopo la sua morte il lavoro del centro si è ampliato con due squadre indipendenti, molto attive oggi nella produzione di spettacoli itineranti e workshop.
Alla base degli insegnamenti di questi gruppi c’è la pedagogia, che allarga i limiti dell’attore alla scoperta dell’ignoto, base di partenza della creatività. La qualità della ricerca e la produzione artistica, unite alle attività pedagogiche, fanno del Workcenter un gruppo artistico unico al mondo, che si evolve in relazione ai cambiamenti storici che le varie società si trovano ad affrontare. Tra questi, un esempio può essere rappresentato dall’immigrazione. L’attività che si svolge a Pontedera, per esempio, coinvolge le comunità di immigrati facendole interagire con quelle locali. Uno scambio che avviene in vari modi, principalmente col canto. “Non si tratta solo di cantare”, racconta Biagini, “ma di un gruppo allenato che si prende cura della folla”. Il tutto, in luoghi non teatrali, per allargare il contesto al di fuori degli spazi convenzionali, rendendo qualsiasi posto performativo. Due mondi diversi, così, diventano uguali in un “territorio franco”, accomunati dall’intonazione di una melodia.
In base a questa e altre esperienze, il Workcenter ha deciso di attraversare barriere sociali e culturali portando il suo lavoro in giro per i luoghi emarginati del mondo. Nel 2017 sono, infatti, previste presentazioni nelle comunità locali in Polonia, Austria, Ungheria, Francia e Russia. Si lavorerà anche in Grecia con i giovani del campo profughi di Samos, a New York con i senzatetto e gli ex detenuti del Bronx. Poi in Cina, in Brasile, in Turchia. La speranza, però, è di poter agire sempre più in Italia. A questo proposito, prossime tappe Firenze, Napoli e Bologna.

Elisa Sciuto
27/01/2017

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