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Woman before a glass: Peggy oltre lo specchio

Solo bianchi pilastri, pallidi dolmen stagliati sul nudo palco. Su di esso le immagini si inseguono, ritratti, anacronismi, proiezioni. Peggy inveisce, attraversa la sala, si rivolge adirata ad un’interlocutrice lontana.

Solo un primo estratto di “Woman before a glass”, trittico scenico in quattro quadri che dal 1 al 3 febbraio è andato in scena al Teatro Palladium di Roma. Diretto da Giles Stjohn Devere Smith, su testo di Lanie Robertson, lo spettacolo è sonda che indaga, specchio profondo entro cui risuona l’esistenza eccentrica di Peggy Guggenheim.
Genuina è la voce monologante di Caterina Casini, sua interprete; rauco il suo timbro restituisce coraggio, spudoratezza, ironia ruvida; il guitto personalissimo con cui la collezionista svizzera soleva rivelarsi.
I vestiti raccontano storie, i nazisti son “ad un tiro di schioppo”; la donna racconta e si racconta, narra di nonni ambulanti, di ladri di rame, di spettri e presenze.
No! Nein! Nichts! L’arte non è risposta eppure è appiglio vivo, effluvio di irruenze schiacciate entro le sbarre della guerra.
Mondrian, Braque, Rothko, e ancora Gorky, Still, Pollock; una sete inesauribile quella della mecenate che si arrischia oltre i confini della prudenza incoraggiando febbrile il genio ottenebrato di coloro in nessuno aveva osato investire.
Le loro tele partecipano alla narrazione, se ne avvertono le tinte, le pennellate, il colore attraverso il sapiente quanto incisivo uso del video-mapping sul fondo della scena.
Sulla linea sottile fra aneddoto ed immagine, si dispiega dinanzi a noi la vita della mecenate, l’eccentrico febbrile guizzo del suo temperamento, la resilienza di fronte alla guerra, in un climax ascendente che si spinge fino agli eventi più drammatici della sua esistenza.
A partire dalla rete variopinta dei rapporti sociali, il racconto si tramuta in reminescenza, evocando le figure di una madre opalescente, di un padre eccentrico, delle amate sorelle.
Ancora vagheggia, srotola storie, accenna nostalgie traballanti.
Premura per Pegeen, insofferenze per Simbad, amore irriducibile per Holms, vividi stralci ma anche eventi cruciali, ingorghi storici sui quali lo sguardo della donna fu allora costretto ad appoggiarsi.
Una telefonata, un eco, la proiezione d’un acqua lontana.
Giunge allora la notizia straziante d’una morte improvvisa, quella della figlia, anima fragile, artista incompresa; Peggy ne è straziata, i suoi movimenti si fanno convulsi.
Melanconica e nubivaga si trova ora a Venezia, città che galleggia; ha preso la sua decisione: sarà Palazzo Venier dei leoni, la sede delle sue opere, la casa delle sue creature.

Giorgia Leuratti 10/02/2019

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