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Vucciria Teatro: la sacralità eretica di Immacolata Concezione

C’è una distanza significativa tra le parole che l’uso comune ha reso sinonimiche, c’è differenza, infatti, tra credo e dottrina, tra religione e sacralità, tra simbolico e religioso, diversità che l’ingombrante cultura cattolica del nostro Paese ha annullato, ignorando, così, tutta la potenza della dimensione sacrale nella sua accezione atavica e quindi poetica. Per fortuna esistono gli scrittori, i registi, gli intellettuali che conoscono bene questo scarto ed è proprio su di esso che costruiscono la propria opera. Joele Anastasi, drammaturgo e regista, dimostra con intelligenza di procedere proprio su questa strada, portando in scena al Teatro India, fino al 24 febbraio, Immacolata Concezione della compagnia Vucciria Teatro, vincitrice della quinta edizione dei Teatri del Sacro 2017, uno spettacolo che dal titolo sembra poter negare quanto detto sopra, ma in realtà gioca con serietà a confermarlo.

Sicilia, fine anni Trenta, Concetta, interpretata da una credibilissima Federica Carruba Toscano, è una ragazza semplice venduta da suo padre, caduto in disgrazia per una capra, a donna Anna, tenutaria di un bordello del paese. L’arrivo della ragazza destabilizza l’equilibrio emotivo che fino a quel momento regolava i rapporti tra i vari personaggi della storia, dalle signorine della casa agli uomini del paese. A determinare il cortocircuito è proprio l’ingenuità e la sensualità di una donna che si rivela essere portatrice di un’innocenza sacra, di una visione per cui o si è "capre per figliare o capre da scannare", secondo una distinzione binaria che vede l’animale sacer per eccellenza eletto rappresentante di un mondo colmo di significati solo apparentemente svelati. In un inizio violento, la ragazza, nuda, è trascinata con un catenaccio attraverso la platea, poi lavata e vestita viene posizionata su una costruzione lignea che diventa una sorta di palcoscenico sul palcoscenico, un baldacchino dove accoglie i suoi amanti, un altare dove si sacrifica continuamente e un microcosmo dalle pareti invalicabili. Tutti amano Concetta, eppure lei non ha mai fatto l’amore con nessuno, ma ha concesso ai clienti la sua umanità, scuotendo persino quell’arroganza maschilista e patriarcale della Sicilia di quegli anni.

Concetta ricorda la novella Vergine che De André, geniale ateo innamorato di Cristo, canta ne L’infanzia di Maria, (“guarda le mani, guardale il viso sembra venuta dal Paradiso, guarda le forme, la proporzione sembra venuta per tentazione”), il suo corpo è fatto di carne e sangue, tuttavia è un mistero sacro e proprio per questo non si può comprendere ma si deve semplicemente accogliere. È tutta qui la duplicità inconciliabile tra sacro e profano, tra peccato e immacolata concezione che fa della ragazza la madonna caricata delle pene altrui.
Anastasi firma una drammaturgia molto lineare, vicinissima in diversi punti alla sceneggiatura di un film, e la conduce al massimo grado di accelerazione attraverso una regia ritmica e studiatissima che vede gli attori muoversi all’interno di una costruzione corale in cui nulla è lasciato al caso. Tutti gli uomini in scena, Alessandro Lui, Enrico Sortino, Ivano Picciallo e Anastasi stesso, interpretano più personaggi, anche femminili, lanciandosi in un gioco di continue vestizioni e apparizioni sempre ben sostenute.

La storia di Immacolata Concezione cammina in perfetto equilibrio sul sottile confine tra il leggendario e il reale, complice anche un uso davvero eccellente della luce, infatti, quel microcosmo siciliano è perennemente illuminato da un’aurea che parla di passato, siamo quasi a un secolo fa, ma soprattutto di mistero, di dramma, di sovrannaturale, di atavismo. Ecco dunque che la sacralità di Concetta non ha nulla di religioso nell’accezione contemporanea del termine (d’altronde la religione è un corpus dottrinale), ma è qualcosa che ha a che fare con il mondo rurale, arcaico, primitivo, quasi barbarico. La matrice leggendaria che abita la storia è alimentata e sostenuta dalla parallela favola di Colapesce, raccontata da Turi (ottima l’interpretazione di Lui) a Concetta; il giovane è l’unico ad avere davvero sfiorato la ragazza, innescando così quella variazione necessaria alla drammaturgia per virare verso una finale tutt’altro che lieto. La gravidanza della donna, infatti, la rende ancora di più una Madonna eretica che rinuncia alla propria vita per darne alla luce un’altra. Concetta, la babba golosa di mandarini, la prostituta che non conosce il sesso, ha saputo lenire le ferite degli uomini e, diventata santa, abbandona la terra per farsi patrimonio eterno di un mondo arcaico - pastorale che solo nella ritualità del teatro trova la possibilità di rinascere ogni volta.

Diletta Maurizi 22/02/2019