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“Viviamoci”: lo stupore delle combinazioni perfette di Giorgia “Gigia” Mazzucato

Giorgia “Gigia” Mazzucato dimostra di esserci, di essere nel mondo e riesce, attraverso la semplicità autentica del suo racconto, a creare connessioni misteriose tra esistenze diverse, ma realmente vicine, comunicanti. D’altronde noi esseri umani imperfetti siamo il risultato di «combinazioni perfette, fortunate e assurde». Uomini e donne che viaggiano, si incontrano, talvolta si fermano, disegnano scie lunghissime e scompaiono.
La Mazzucato è giovane, ma forse è già pronta a cogliere le sfumature mutevoli delle complessità del mondo. Promettente attrice e autrice padovana dall’ironia raffinata interpreta i suoi personaggi e l’amore per la “Vita”. Allieva di Dario Fo, Franca Rame, Massimiliano Bruno e Andrea Pennacchi porta in scena a Roma lo spettacolo “Viviamoci”, al Teatro Studio Uno (dal 21 al 24 gennaio). Dopo il successo al Roma Fringe Festival 2015 con lo spettacolo “Guerriere”, anche questa volta l’attrice racconta storie intrise di dolore, difficoltà, emozioni pure. Con dolcezza e rispetto si interroga e naviga nell’insicurezza, sfida la paura di rivelarsi, facendo vivere tre storie, tre diversi personaggi interpretati unicamente da lei. «Un testo paradossale e metafisico», afferma il Premio Nobel Dario Fo, «una pièce dalla recitazione con tempi puliti e chiari, tipici di una professionista». Una rappresentazione vincente, tanto da aggiudicarsi il Premio “Miglior Spettacolo”, in occasione della rassegna allo storico Teatro L’Avogaria di Venezia.
L’autrice attraverso un monologo trasformista entra ed esce dai suoi tre personaggi, che sembrano quasi appartenerle; racconta le vite di Aurora, Francesca e Maicol, avvalendosi dell’interazione dinamica tra il registro comico e quello tragico, tra il gioco e la disperazione della perdita. Un movimento ondulatorio che conduce l’ascolto degli spettatori, lasciandoli alla fine smarriti tra dubbi e interrogativi. Le tre storie sono collegate tra di loro e rispettano una struttura circolare, interna ad un organismo ben calibrato. Il lavoro sulla voce (sul timbro), così come sull’espressività dei movimenti del corpo, in particolare delle mani (le mani della madre come presa di coscienza viva e pulsante del dolore) e dei tempi incrociati risultano elementi costitutivi dello spettacolo.
Aurora è una bambina che chiede di stare al mondo, per poter godere dell’adorazione di sua madre e per farle ritrovare la serenità perduta. Giochi di parole esilaranti accompagnano il suo viaggio onirico e ludico tra i corridoi del paese delle meraviglie, insieme al suo peluche Capitan Vento, tra le stanze di una casa, in compagnia di Magritte, Klimt, Monet, Duchamp. Da qui si entra in un mondo geometrico, che d’improvviso si trasforma in un “palazzo pentagramma”, pieno di scale che simulano le faticose rincorse verso un’armonica stabilità. Noi spettatori sorridiamo insieme a lei, in quest’incedere di accadimenti, anche tragici della vita. Francesca è la madre di Aurora. Ascoltiamo i suoi racconti sin dalla nascita, viviamo il suo primo innamoramento e il bacio appassionato e conturbante delle scuole medie, sino alla scoperta della gravidanza a 24 anni, con Francesco, il suo unico, breve amore.
Nel racconto di Francesca spunta poi Maicol, un giovane padovano, che traccia il suo percorso fatto di umiltà e di dignità, abbracciato in scena da una luce calda. Maicol è un ragazzo semplice e non chiede tanto alla vita, soltanto un lavoro nell’officina del padre e una fiat duna rossa. Il meccanismo dell’amore e il perenne senso di colpa, poiché responsabile della morte del suo amico, caratterizzano questo personaggio.
Giorgia Mazzucato crea giochi di parole sui grandi compositori, pittori, musicisti del passato (da Bach a Debussy, a Velàzquez), con l’intento artistico di dare voce e corpo a chi non li ha mai avuti. Roberto “Ominostanco” Vallicelli, musicista romano eclettico e sperimentale, insegue la voce dell’attrice con echi e richiami all’elettronica e al jazz. L’artista gioca sui suoni e sulla loro interazione con la scena, anch’essa nera, come il cubo, contenitore di storie, di idee. Viviamoci è esaltazione della vita, anche con il suo dolore, osservata con il filtro dell’autenticità.
È un testo ontologico, che stimola la riflessione; affronta temi profondi dell’esistenza (la vita, la morte e la perdita), con maturità, sensibilità e delicata ironia. “Viviamoci” è un inno alla gioia dirompente, folle del vivere.

Visto a Roma, Teatro Studio Uno

Serena Antinucci 23/01/2016

Foto: Matteo Nardone

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