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Vita, esperienze e vocazione di Angelo Maggi “Il doppiattore”

Pur avendo ormai molti detrattori, il doppiaggio rimane, in particolare per noi italiani, una caratteristica imprescindibile del nostro modo di rapportarci con il cinema. Anche i suoi più feroci critici, infatti, non potranno nascondere di essersi appassionati alla settima arte non certo seguendo i film con i sottotitoli in qualche cinema d’essai, ma travolti e conquistati dalle grandi voci di quegli attori che, nascosti nel buio della sala di doppiaggio, ci hanno fatto emozionare, ridere, commuovere. Sono loro che hanno contribuito in maniera determinante al successo di quegli interpreti e di quei film che sono entrati prepotentemente a far parte del nostro immaginario collettivo. L’esempio più significativo è sicuramente quello di “Via col Vento”: pur ridoppiato con cura nel 1977 dal più grande direttore del doppiaggio italiano, Mario Maldesi (suo il doppiaggio dei film di Kubrick, Visconti, Fellini, Lucas, solo per citarne alcuni) continua ad essere trasmesso e distribuito con il doppiaggio originale del 1949, quello che tutti noi abbiamo nelle orecchie, di cui poco ci importa se sia vicino o meno al film originale, ma insostituibile perché parte fondamentale del “nostro” “Via col Vento”.
Proprio con la scena più famosa di questa pellicola mitologica si conclude lo spettacolo “Il Doppiattore: La voce oltre il buio”, scritto diretto e interpretato da Angelo Maggi, in scena al Teatro Belli di Roma fino al 20 marzo. Una performance, sia vocale che fisica, trasformata dal bravissimo doppiatore non solo in una lezione sui segreti di un procedimento che mantiene, per i non addetti ai lavori, qualcosa di misterioso, ma anche in una vera e propria dichiarazione d’amore per il proprio mestiere. Accompagnato sul palco dalla giovane Vanina Marini, Maggi ripercorre la sua carriera di attore e di “voce nell’ombra”, ridoppiando sul momento, davanti ai nostri occhi, i “suoi” attori: si parte con il Tom Hanks di “Cast Away”, cui segue la voce “grassa” del commissario Winchester dei Simpson e quella invece “asciutta” del Robert Downey Jr. di “Iron Man”. Uno, nessuno e centomila, come ogni bravo doppiatore che si rispetti, Maggi si diverte anche a ridoppiare spezzoni di film celebri, sovrapponendo la sua voce a quella di Dick Van Dyke di “Mary Poppins”, doppiato in origine da Oreste Lionello, al “Romeo, er mejo der Colosseo” del cartoon “Gli Aristogatti”, che in italiano aveva la voce inconfondibile di Renzo Montagnani, fino al Marlon Brando dell’indimenticabile Emilio Cigoli nel “Giulio Cesare” di Mankiewicz.
Altro scopo dello spettacolo, infatti, è quello di ricordare le grandi voci del doppiaggio presente e passato, dimostrando così che il doppiatore non è un attore a metà, ma raddoppiato, un “doppiattore” appunto. Non si può non essere d’accordo vedendo e sentendo gli spezzono di Oreste Lionello che doppia Woody Allen in “Io e Annie”, l’inquietante Dario Penne per l’Anthony “Hannibal” Hopkins di “Il silenzio degli innocenti”, la follia di Jack Nicholson nella voce di Giancarlo Giannini per “Shining”, il birignao di Tina Lattanzi per la divina Greta Garbo di “Maria Walewska”, la voce di Lydia Simoneschi perfettamente “attaccata” a quella di Ingrid Bergman in “Notorius”, e poi il grande Giuseppe Rinaldi, capace di passare dal Paul Newman di “La gatta sul tetto che scotta” al Jack Lemmon di “A qualcuno piace caldo”. Ogni sera ospite sul palco un doppiatore o una doppiatrice tra i più validi del panorama contemporaneo, chiamati a duettare con Maggi e a raccontare la propria esperienza di “doppiattori”. Il 10 marzo è toccato a Chiara Colizzi, figlia d’arte e storica voce di Nicole Kidman, Kate Winslet e Uma Thurman: esilarante il loro ridoppiaggio in tempo reale di uno spezzone della serie “Scrubs” in cui Maggi prestava la voce al feroce e fulmineo dottor Cox, mentre la Colizzi era la bionda dottoressa Elliot Reid.
Quattro interventi video di altrettanti noti doppiatori come Luca Ward, Pino Insegno, Marina Tagliaferri e Massimo Lopez contribuiscono a completare questa lezione sentimentale sul mondo del doppiaggio, dove si affrontano problemi pratici e affettivi capaci di far venir fuori l’importanza, anche storica e culturale, di un mestiere che ha cambiato la storia del cinema e della sua diffusione, riuscendo nell’impresa di ridare dignità e consistenza corporea, come nel finale di “Cantando sotto la pioggia”, all’attore nascosto dietro il paravento.

Gianluca De Santis 15/03/2016