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"Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae", un’amara riflessione in giacca e cravatta in scena allo Spazio Diamante

ROMA - Sul palco dello Spazio Diamante il mito di Pasìfae si presenta al pubblico in abiti eleganti, sfoggiando distinti completi, tailleur, cravatte e costosi orologi. La rilettura in chiave contemporanea, intitolata Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae, è scritta e diretta da Johannes Bramante, già autore di altre due rivisitazioni, Alkestis 2.1 e Il Complesso di Antigone, che assieme a quest’ultimo lavoro compongono una moderna trilogia ispirata dalle tragedie elleniche.
L’opera, portata in scena dalla Compagnia Coturno 15, si sviluppa in un singolo atto, riprendendo le meccaniche proprie del mito greco e dei suoi protagonisti, Minosse, la moglie Pasìfae e il costruttore Dedalo. L’antica narrazione racconta di come il Re di Creta, ricevuto in dono un meraviglioso toro bianco da Poseidone, si sia successivamente rifiutato di sacrificarlo al dio, nonostante questo fosse il prezzo da pagare per essere amato dal proprio popolo. Poseidone per vendetta fa innamorare Pasìfae del toro, generando in lei il desiderio di congiungersi con l’imponente animale. Grazie all’aiuto di Dedalo la donna soddisfa il proprio impulso, in un rapporto che porterà infine alla nascita del Minotauro. Un mito brutale nella sua semplicità, caratterizzato da alcuni aspetti centrali che ritroviamo anche nel lavoro del regista. La bramosia di potere di Minosse, Il desiderio folle di Pasìfae e l’astuzia e l’intelligenza di Dedalo.Vertenze Politiche 2 min

La Grecia antica lascia posto all’Italia contemporanea, dove Creta non è più un’isola ma una società per azioni che si occupa di edilizia a scopi turistici. Ai vertici di questa si trovano il presidente Minosse e i suoi amministratori delegati Dedalo e Pasìfae, tre individui votati al successo ed emanazione della perversa e cinica logica imprenditoriale. Obiettivo dell’azienda è quello di costruire un lussuoso resort all’interno della pineta di Chiassi. Il progetto è pronto ma il permesso non viene concesso a causa della presenza nella zona di una specie protetta dalle leggi italiane, l’ultimo esemplare al mondo di “Poseidonius Albus”, ossia un toro bianco. Gli elementi, dunque, ci sono tutti. Ciò che va in scena è il complicato tentativo di superare l’impedimento e il contorto groviglio di relazioni fra i tre protagonisti, colleghi sì, ma anche vili arrivisti dediti a complottare l’uno alle spalle dell’altro al fine di raggiungere un proprio tornaconto.

La narrazione di Bramante è forte e schietta, trascinando lo spettatore all’interno di un ufficio, rappresentato unicamente da una scrivania e qualche sedia, dove i tre personaggi mostrano senza filtri e limitazioni la loro vera natura. Il presidente Minosse, interpretato da Davide Paciolla, è spietato e impudente, uomo dalle ottime capacità imprenditoriali con le giuste conoscenze e molto potere. Quel tipo di persona convinta che l’apparenza sia ciò che determini un individuo e il suo successo e Vertenze Politiche 3 minper questo privo di una sana morale. Dedalo, Guido Targetti, è il suo braccio destro, assieme a lui fin dall’inizio della loro scalata al successo, e si contraddistingue per la sua astuzia e la sua formidabile capacità di mentire, qualità che lo hanno portato ai vertici del mondo degli affari. È un calcolatore e sarà di fatto il fulcro dell’intreccio fra i protagonisti, tessendo trame con l’uno e con l’altro in un perenne doppio gioco. Pasìfae infine, portata in scena da Francesca Accardi, è la rappresentazione della cinica donna in carriera disposta a tutto pur di raggiungere il potere. Abile e seducente manipolatrice è capace di corrompere assessori e rappresentanti delle istituzioni conoscendone le debolezze, soprattutto carnali. Sarà la prima a tramare alle spalle del presidente, convincendo Dedalo a passare dalla sua parte e a non assecondare l’immoralità di Minosse.
All’interno del loro ufficio dunque i tre imprenditori cercano di risolvere il problema generato dalla presenza del toro, ignaro di tutto ma nonostante ciò elemento centrale della trama. Da una parte Minosse medita l’uccisione dell’animale, sprezzante delle leggi e privo di alcuna pietà nei confronti di ciò che egli stesso chiama “un filetto mancato”, dall’altra Pasìfae presta fede al suo antico nome cercando di salvarlo provando compassione per la sua solitaria situazione. Dedalo intanto ascolta e trama.

Il testo sovrasta la scena. Le parole sono forti, crude e violente, ma nella loro scurrilità esasperata raccontano perfettamente i retroscena di un ambiente corrotto, mostrando tutta la bassezza dei pensieri umani che di fronte ai propri interessi diventano fiere, lupi pronti a sbranarsi senza il minimo rispetto. Ed è così che i protagonisti si offendono, si maltrattano e si sbeffeggiano senza alcun ritegno, chiusi nel loro ufficio dove ogni apparenza crolla. Le parole mostrano tutta la superficialità e la finzione della malata relazione fra i personaggi, capaci di mostrare il loro lato più umano e profondo solo nel momento in cui la scena gli concede un personale monologo.
Un linguaggio colloquiale e contemporaneo, ben lontano dalla poetica greca, la quale però riesce a farsi spazio sul finale, creando un’inaspettata contrapposizione fra antico e moderno, come a voler mostrare l’eternità del mito da cui la vicenda nasce.
Una rilettura forte, magnetica e amara che analizza molti aspetti della realtà in cui viviamo, spesso ipocrita, falsa e dedita ad una misera apparenza. Una realtà che premia la forma piuttosto che il contenuto, che osserva l’abito piuttosto che la persona e che brama un luccicante Rolex a discapito della propria integrità morale.

Lorenzo Bartolini

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