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“L'Uomo Calamita”: la Liberazione (dalle catene) di funamboli e partigiani

FIRENZE – Un tempo c'erano i Supereroi, che fossero in fumetto o al cinema. Spiderman con le sue ragnatele, Thor con il maglio, Hulk per la sua forza incredibile e il colore verde pistacchio arrabbiato, Capitan America con lo scudo, Superman che veniva dallo spazio e poteva volare, Braccio di Ferro e gli spinaci e un pugno galattico, SuperPippo e la nocciolina, Iron Man, Wonder Woman, Flash Gordon, i Fantastici Quattro, Batman e altre decine ne stiamo dimenticando. Da oggi in poi esisterà soltanto “L'Uomo Calamita” (prod. Circo El Grito; visto all'interno dello chapiteau di InStabile Culture in Movimento in zona Varlungo a Firenze) di e con Giacomo Costantini saltimbanco affascinante, seducente nei suoi muscoli guizzanti “tutti di plastica e di metano”, faccia sbarazzina, sguardo canagliesco, equilibrista pirotecnico, magnetico, erotico, poderoso, azzardato, ammaliante, coinvolgente. La storia si svolge sul doppio binario dei numeri e delle gag di circo-teatro intersecate dalla narrazione, direttamente al leggio di Wu Ming 2, che incastonano le vicende del funambolo giocoliere in un quadro più serio, in un contesto più ampio di guerra, di Liberazione, di vite da rischiareUOMO-CALAMITA-e1535623966722.jpg per raggiungere l'emancipazione dal fascismo.

I numeri e le gag ci sono tutte per creare lo stupore nei bambini di ogni età mentre, anche questo elemento che esula dai tradizionali spettacoli circensi, un batterista fionda i suoi bicipiti sui piatti e con i tricipiti sferza la grancassa (gagliardo Fabrizio Baioni “Cirro”). E' quest'alchimia da wow che colpisce i pubblici di ogni generazione, le trovate iperboliche fisiche (grande preparazione, allenamento ed esercizio e meditazione alla base dell'esperienza di Costantini) si stampano sulle retine mentre le avventure narrate ci portano dentro la Seconda Guerra Mondiale (argomento caro e prediletto di Wu Ming 2, all'anagrafe Giovanni Cattabriga), la guerra civile nostrana tra i battaglioni partigiani e le squadracce fasciste e le brigate naziste. Da una parte il gioco scanzonato, quel sfidare la morte per gara (oggi si chiamerebbe “challenge”), per imprevisto, per sfrontatezza, per sfacciataggine spudorata, per arroganza, dall'altra quel sfidare la vita per salvarsi, per annientare il nemico, per un domani più giusto, per un'esistenza libera dal giogo della schiavitù. Caldo e freddo, due correnti che qui si sommano alla perfezione, si miscelano, si amalgamano, si mantecano creando una sostanza spirituale commovente, toccante, altamente partecipata.

Se le Uomo-calamita-slide.jpgevoluzioni dell'Uomo Calamita ci riportano al nostro fanciullo interiore, all'infanzia da naso all'insù, a quell'impossibile divenuto magicamente possibile, le storie di guerra e rappresaglie, di fucilazioni e tranelli, di imboscate e rastrellamenti (nebbia e foglie secche sparse a terra ci ricordano i paesaggi fenogliani) ci fanno stringere il cuore. E la musica, le grandi bordate ritmiche di batteria, sono un collante ritmico, una scansione temporale armonica e violenta per sostenere il peso pericoloso di quello che stiamo vedendo e per difendere l'altrettanto pericoloso fardello di ciò che stiamo ascoltando. Occhi spalancati, bocca aperta, orecchie allargate, che la storia ci entra dentro da tutti i pori. Costantini, fulcro e anima della pièce da lui stesso ideata e messa in scena, prima si appoggia cucchiai sul petto come sul volto e questi rimangono su senza scivolare a terra, per via di forza misteriose o doti naturali di campi elettromagnetici interiori, successivamente anche un pesante ferro da stiro rimane in verticale aggrappato ai pettorali del performer senza nessun cedimento strutturale, senza nessuna intenzione di cadere a picco.

Ma i numeri e le qualità dell'artista di strada sono soltanto all'inizio: balla una danza atletica tra flamenco e tip tap facendo UC_Paolo Cudini-2.jpegroteare vorticosamente a gran velocità, come un gaucho nella pampa argentina, le bolas facendole sbattere a terra a tempo di musica, esercizio prezioso e raro quanto complicato ma intonato e melodioso. Non è finita qui: rimane in equilibrio precario dondolandosi sulle due gambe posteriori di una sedia posta sopra una scala collocata a diversi metri da terra, sfidando le leggi della fisica e della gravità, fino alla performance delle performance, ovvero rimanere per oltre tre minuti in apnea in una vasca sigillata ermeticamente, con le gambe bloccate, a testa all'ingiù e con le mani legate da pesanti catene (il famoso numero di escapologia, ma anche escatologia, del grande Houdini, la “pagoda cinese dell'acqua”) e liberarsi tenendo tutti con il fiato sospeso, sudando freddo. Il messaggio finale sta tutto nelle parole di Wu Ming 2 e nel parallelismo tra le manette, le torture e le apnee messe in scena nel circo e quelle che il popolo italiano si sarebbe trovato ad affrontare nel Ventennio Fascista. Ma, come ci insegnano Houdini e l'Uomo Calamita, una soluzione e una via d'uscita per la libertà sono sempre possibili basta non rimanere passivi ma agire, muoversi, rischiare. Che il premio può essere la salvezza.

Tommaso Chimenti 04/03/2023

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