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Un istrionico Massimo Ranieri in scena con Il gabbiano (à ma mère), riscrittura di Cechov da parte di Giancarlo Sepe

Massimo Ranieri ne "Il gabbiano (à ma mère)"

Portare in scena l’adattamento di un testo amato da intere generazioni, consacrato nell’olimpo dei classici del teatro e interpretato dai più grandi attori di sempre non è mai cosa facile. Il sodalizio tra il regista Giancarlo Sepe e l’istrionico Massimo Ranieri si concretizza ne Il gabbiano (à ma mère) prodotto dal Teatro Diana e Rama 2000, in scena al Teatro Quirino di Roma dal 19 al 31 marzo.
Lo spunto geniale, l’idea guizzante che da il via all’adattamento del grande classico proviene direttamente da un episodio realmente accaduto all’autore della pièce. Anton Cechov, scoraggiato dall’insuccesso di critica e pubblico al debutto de Il gabbiano, si rivolse al celebre critico musicale francese Marcel per avere un parere illuminato e soprattutto estraneo al contesto culturale russo. Marcel consacrò il testo di Cechov trovandogli dentro un incredibile musicalità e poesia. Il gabbiano di Sepe coglie l’essenza dell’aneddoto trasformando il testo russo in una sorta di recital intramezzato da melodie di francese memoria, aggiungendo al celebre titolo l’inciso (à ma mere). Sigillando così una dedica esplicitamente diretta ad Irina Arcàdina (interpretata da una splendida Caterina Vertova), forse il personaggio più controverso dello spettacolo, attorno al quale ruotano tutti gli altri. Attrice sull’orlo di una crisi di mezza età, stanca e vanagloriosa, Irina non si cura del figlio Kostja (Francesco Jacopo Provenzano), giovane con velleità d’autore cresciuto in provincia, solo ad eccezione della compagnia della dolce Nina (Federica Stefanelli) che sogna un futuro radioso nel teatro. Nina si infatua però dell’elegante scrittore Boris Trigorin (Pino Tuffillaro) che le promette amore e gloria nonostante sia impegnato con Irina. Contraltare della giovane e frizzante Nina, la cupa Mascia (Martina Grilli), perennemente triste e di nero vestita, perdutamente innamorata di Kostja, che non la degna di uno sguardo.
Estirpato da ogni riferimento spazio temporale, in un palco fumoso inclinato verso gli spettatori simbolicamente rappresentante forse il senso di disequilibrio della vita di ognuno dei sei personaggi, lo spettacolo viaggia su binari singoli come i grigi veli rettangolari che circondano qualche sedia, una poltrona scura e un lungo pianoforte centrale.
Protagonista assoluto dell’adattamento di Sepe, Massimo Ranieri è narratore a tratti esterno e a tratti interno alle vicende, alterego di quel figlio che Irina non vede nemmeno, troppo presa da una carriera ormai agli sgoccioli e da un amore travestito da convenienza. L’efficacia dell’adattamento diretto da Sepe sta proprio nell’intuizione di affiancare la figura di Ranieri a quella del giovane protagonista, creando cortocircuiti drammaturgici riflessi sulla scena che confondono e riflettono sui temi nevralgici della pièce di Cechov.
Gli intermezzi musicali ben si inseriscono nel sostrato dello spettacolo, parlando della e alla vicenda portata in scena ora con amore ora con tristezza. Massimo Ranieri canta dal vivo sei canzoni di alcuni grandi interpreti francesi. Avec le temps (Leo Ferrè), La Foule (Edith Piaf), La chanson des vieux amants (Jacques Brel), Je suis malade (Serge Lama), Et Maitenant (Gilbert Becaud) e Hier Encore (Aznavour) sono interpretate dal performer per eccellenza della scena italiana con dolcezza ed equilibrio, senza mai strafare. Il connubio Sepe/Ranieri risulta perfettamente azzeccato, nonostante la difficoltà accennata all’inizio di portare in scena uno dei testi più malinconicamente riusciti del grande Cechov.

Erika Di Bennardo

03.04.19