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Un irriverente servo ci presenta “ La prova del topo”, spettacolo in concorso al Roma Fringe Festi

Supervisione della drammaturgia: Michele Galasso e Antonio Careddu
Interpreti : Gabriele Guerra, Caterina Marino, Riccardo Marotta, Maria Chiara Pellitteri, Fabiano Roggio
Musica: Samovar & Marcusai
Compagnia Teatro delle Viti/ I Nuovi


Al contrario dell’assonanza del titolo che rievoca altre ambientazioni e trame possibili, “La prova del topo” è tutto incentrato sulla crisi di una famiglia. Evitato per fortuna il cliché della famiglia borghese, i protagonisti sono da considerare come singoli individui colti nella ripetitività delle loro azioni e ossessioni. Il servo è l’unico capace di osservare e manipolare le dinamiche familiari; in linea con la figura stereotipata del servus callidus, agile e astuto, trama piani per fomentare il padre contro i figli. È lui il vero protagonista, che come uno scienziato nel laboratorio studia i suoi topini per modificarne e sovvertirne i ruoli e le reazioni.
I piani orditi non sono oscuri anzi, sono palesati fin dall’inizio, e i componenti della famiglia, che già hanno qualche tratto somatico che ricorda i topi, non si sottraggono alla dimostrazione di un esperimento da laboratorio. Le scosse elettriche usate per scoraggiare qui sono da rintracciare nelle parole che il servo rivela a ognuno di loro. Nessuno ha la forza di ribellarsi a questa cieca ciclicità, di cui ognuno è vittima. La zia pur essendo armata di un binocolo con cui scruta il mondo, vive in maniera incantata e sopra le righe, ma senza dubbio grazie a Caterina Marino, è una degna antagonista dell’irriverente servo, capace di suscitare il sorriso grazie ai suoi tic e le sue canzoni. Il padre (Gabriele Guerra) è un uomo rigido e dai toni militari, come sembra suggerci la sua divisa, incapace di ascoltare i figli, chiusi nella loro solitudine, e innamorato della cognata. I due piccoli e indifesi “topolini” interpretati da Maria Chiara Pellitteri e Fabiano Roggio, sono costretti a subire i soprusi del servo. Riccardo Marotta che vestiva, o meglio svestiva i panni del servo, ha accolto con calorosamente il pubblico, con il quale non ha mai interrotto il dialogo e che dall’inizio alla fine ha mantenuto grande carisma e ironia.
L’antropomorfizzazione dei topi o la metamorfosi dell’uomo in topo è solo un pretesto per trattare con leggerezza, intesa come operazione di sottrazione di peso, e non in maniera superficiale, le dinamiche relazionali in famiglia e fuori, senza dimenticare un generoso happy ending.

Gerarda Pinto 23/06/2015

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