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Ugo Pagliai in “La Tempesta” di Shakespeare al Globe Theatre

Su un’isola imprecisata – forse del Mar Mediterraneo – lontana da ogni rotta e senza nome, Prospero e sua figlia Miranda vivono esiliati dopo che Antonio, fratello di Prospero, ha usurpato il suo ducato di Milano con l’aiuto di Alonso, Re di Napoli e suo amico. L’isola deserta, luogo quanto mai simbolico, era popolata prima dell’arrivo del ramingo duca di Milano solo dal mostruoso Calibano e dallo spirito Ariel, lì imprigionato. Lo spazio ridotto dell’isola è luogo della mente, ma anche dello spazio teatrale – giacché coincidono – e rifugio estremo da un mondo in cui non ci si riconosce più: «e noi tutti abbiamo ritrovato noi stessi quando nessuno era ormai più se stesso» avrà modo di dire Gonzalo, consigliere anziano del re. Su quest’isola Prospero ha tentato, umanisticamente e faustianamente – il suo nome è non a caso la traduzione del latino Faustus, nome dell’eroe di Marlowe – di imporre la propria cultura e il proprio potere, schiavizzando il solo abitante umano dell’isola, Calibano, e lo spirito Ariel. Shakespeare, dunque, affronta nella sua Tempesta anche la questione morale relativa al nascente colonialismo – che avrebbe raggiunto il suo picco durante l’Età vittoriana – oltre che trattare tutti i temi magici già presenti in Sogno di una notte di mezza estate, il racconto dell’innamoramento e della tenebra insondabile che si nasconde nel cuore dell’uomo. 1


Daniele Salvo si imbarca nell’impresa di portare in scena una delle opere più note del Bardo, complessa – come tutte le sue maggiori – e ricca di suggestioni. Il suo Prospero è Ugo Pagliai, uno dei pilastri del teatro italiano, che regge perfettamente il suo ruolo dall’inizio alla fine dello spettacolo. Lo accompagnano Melania Giglio, nel ruolo di Ariel, Valentina Marziali – la figlia Miranda –, Carlo Valli, Martino Duane e Tommaso Cardarelli, rispettivamente nelle parti di Antonio, il Re di Napoli e suo figlio. A scene ben orchestrate e di grande effetto – come i numerosi ingressi di attori dalla platea e la celebre tempesta iniziale – ne seguono alcune di minore impatto, come le parti comiche talvolta inutilmente forzate: il trio comico di Mimmo Mignemi, Marco Simeoli e Gianluigi Fogacci – ovvero Stefano, Trinculo e Calibano – diverte il pubblico ma pare forzare eccessivamente e inutilmente la comicità sottile dell’opera. E se Rabelais affermava che «rider soprattutto è cosa umana», le scene comiche dello spettacolo, care a Shakespeare e ai suoi contemporanei che vedevano il riso e il pianto come mai completamente scindibili, confermano anche quanto sia più difficile suscitare il riso che il pianto. 2


L’ottimo impianto scenografico, ideato da Alessandro Chiti, permette di riprodurre perfettamente la tempesta iniziale e si adatta alle numerose necessità dello spettacolo. L’isola che Calibano, nel linguaggio stranamente poetico che Shakespeare dona a lui, rozzo e deforme abitante dell’isola, definisce «piena di rumori, di suoni e di dolci melodie» si anima grazie al corpo di ballo e alla presenza di Ariel spirito che, come il Puck di Sogno, è quasi impalpabile tanto rapido e leggero – «tu che non sei che aria» gli sussurra Prospero – ha qui piuttosto qualcosa del Gollum dell’universo tolkieniano. La musica, curata per lo spettacolo da Marco Podda, pervade La Tempesta dall’inizio alla fine ed è impersonata proprio da Ariel, signore della danza e del canto. Ma nonostante la sua dolcezza, la morale è piuttosto amara: se Antonio non ha avuto esitazioni nell’esiliare suo fratello, legittimo duca di Milano, e Stefano non esita quando istigato da Calibano ad uccidere Prospero per impadronirsi dell’isola, allora si può legittimamente affermare che ogni personaggio in talune circostanze può arrivare a ferire o ad uccidere: i meandri dell’animo umano sono ancora una volta insondabili, come già rivelato da Amleto o da Macbeth. Nel finale, l’incantesimo si spezza: Prospero si rivolge agli spettatori con alcuni dei versi più celebri di tutto il teatro shakespeariano, con quello che secondo molti costituisce il commiato di Shakespeare dalle scene e, forse, la sua intera interpretazione del teatro: «Questi attori, come ti avevo detto, erano solo fantasmi e si sono sciolti in aria sottile…noi siano fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra piccola vita è cinta di sonno».

    Pasquale Pota 07-10-2018