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“Trainspotting”: il malessere oscuro della tossicodipendenza

Il drammatico e provocatorio romanzo di Irvine Welshtradotto al cinema da Danny Boyle – “Trainspotting” approda sulla scena della Carrozzerie.not, in una versione lucida, toccante e coraggiosa ad opera di Marco Bellocchio, Valentina Cardinali, Michele di Giacomo, Riccardo Festa, con la traduzione di Emanuele Aldrovandi.
Una realtà al limite, nella quale si viene catapultati, così come la vita dei ragazzacci di Edimburgo, tra fiumi di droga, tormenti morali, violenze fisiche, psicologiche e verbali. Un turbinio di turpiloqui si sussegue delineando le torbide esistenze di Beagbie, Mark, Tommy, Spudd, Sick Boy, Alison, June, uomini e donne strafatti di eroina e fallimenti, avvelenati di malessere, storditi di delusioni e aminoacidi. Vomitano su luci, trasformate in microfoni, tutte le loro frustrazioni, qui illuminate, ampliate, accompagnate dalla recitazione ritmica, cruda e impeccabile degli interpreti, in grado di rendere la multiforme complessità della vita dei protagonisti.trainspotting3
Sono giovani privi di qualsiasi speranza e felicità, incapaci di dare risposte alla loro esistenza, amareggiati e schifati dalla società e dalla falsità che li circonda. Trovano conforto solamente nelle sostanze stupefacenti, le uniche cose oneste che rivelano tutta la sofferenza del mondo. Ne ingurgitano più che possono, se le iniettano, le sniffano, le fumano, lasciandosi andare a sproloqui, bestemmie, deliri, aspettando treni che non prenderanno mai. Tra crisi di astinenza, nottate di sesso sfrenato, litigi, ossessioni e perverse manie, c’è chi riesce a uscire dalla rete di queste dipendenze, chi vi rimane intrappolato più che mai, chi vi muore.
Lo spettacolo resta per lo più fedele al libro e al film, riuscendo a trasporre le molteplici voci e i diversi punti di vista di chi “non ha scelto la vita, ma qualcos’altro”, attraverso quadri giustapposti che si susseguono fluidi, incastrati tra loro, per dar vita ad un lavoro compatto, potente, ruvido, fuori dagli schemi, crudo, a tratti volgare. Un ritmo concitato, tra pochi oggetti di scena, luci e ombre, che accompagnano gli umori altalenanti e squilibrati dei personaggi resi con estrema bravura dagli interpreti che passano talvolta da un ruolo all’altro, incarnando tormenti, tic, dolori, irregolarità e stranezze. Un compito tutt’altro che semplice che, con l’accompagnamento di affascinanti musiche, delinea un fotogramma scenico d’impatto, energico, in cui il potere del teatro rende vivi e maggiormente tangibili – a differenza della trasposizione cinematografica - le psicosi, gli incubi e le ingenue follie.
Trainspotting” si rivela, dunque, un dramma realistico, nudo e crudo, che colpisce dritto alla pancia senza lasciare margini di luce, denunciando il male assoluto della tossicodipendenza e la pochezza del presente.

Maresa Palmacci 23/01/2017

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