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Tra sogno e realtà nella notte con il poeta: "Bukowski - a night with Hank" al Teatro Planet per il DOIT Festival

Inizia con un corpo nudo in una vasca da bagno la nostra notte con Hank. Il resto in scena tace nel buio silente e solo la luce rossa che spunta dalla vasca ci dà percezione del corpo dell’artista sfatto e intorpidito dall’abuso di alcol. Attorno a lui un ambiente essenziale. Ogni cosa in scena, a cominciare dal pavimento, è ricoperta di carta da pacchi marrone e nastro da imballaggio come a voler rinchiudere tutto in un’insignificante anonimia: un telefono, una tazza, la sedia. Persino la macchina da scrivere che dovrebbe accompagnare la creatività fulminea di Bukowski è inizialmente ricoperta. In un angolo, poi, qualche scatolone e sul soffitto alcune semplici luci che seguono il personaggio nei suoi passi.
Un doppio piano conduce tutta la performance: da un lato l’uomo Bukowski, dall’altro l’artista, il personaggio in voga, Hank. Entrambi sono sovrastati dal potere dell’alcol che come un veleno li domina tenendoli sospesi tra l’attrazione della sua potenza medicamentosa e la tossicità mortale da evitare.
Errante in casa propria, tra le luci che di volta in volta ne incorniciano perfettamente la figura, dice tante parole Hank: esagerate, beffarde, scortesi, di un realismo crudo come solo quello che si legge nei suoi scritti riesce a essere. Ma vi è molto di più dietro le volatili parole. Dietro vi sono i mille volti di un uomo tormentato, tremendamente cinico, stanco di tutto, eppure poetico e persino innamorato. Charles è preoccupato per l’assenza di Linda Lee e passa la sua notte a dialogare con la propria mente e i propri fantasmi. Un’auto-confessione condotta tra passato e presente si trasforma a tratti in un dialogo, con il pubblico, i lettori e gli amici dell’autore, alla ricerca della comprensione o forse della prima vera scoperta dell’uomo dietro la maschera.
Perché? Chi sono io? Cosa ci faccio qui? Si chiede lo spettatore insieme al protagonista. Un uomo così, “un sacco di merda”, turpe, dai tratti crudeli, persino sporco nell’aspetto sarebbe difficile da amare e da comprendere persino per un santo. Allora perché leggerlo? Forse per il desiderio ribelle di abbracciare un artista totalmente smisurato per sentirsi in fondo un poco smisurati anche noi. Inutile nascondere che il fascino dell’artista maledetto ha colpito un minimo tutti nella propria carriera di amanti dell’arte. Ma non basta questo ad avvicinarsi realmente da lettori e spettatori a un autore come Charles Bukowski, detto “Hank”.
Il testo puntuale di D. Francesco Nikzad e l’intensa interpretazione di Roberto Galano ci consegnano un ritratto a posteriori di Bukowski - dell’uomo e del poeta - certamente rispettoso e onesto nei suoi intenti. Il risultato è un essere così politicamente scorretto da risultare tremendamente veritiero, reale e, perché no, affascinante. Hank e Charles ci regalano la notte più surreale mai vissuta e al contempo la più verosimile offrendoci una diversa prospettiva e ogni volta un nuovo valido motivo per avvicinarli, scansarli, amarli, odiarli. Nessuno dei presenti in sala ha mai incontrato realmente quell’uomo e quell’artista eppure dopo questa notte sembra di conoscerli già un po’ meglio.
Non c’è più spazio per lo stereotipo dell’artista maledetto quando in scena prende corpo l’uomo: un essere angosciato, afflitto, molto più duro con se stesso che con l’altro. Dietro la sfrontatezza, la volgarità, il sarcasmo di chi sembra non aver nulla da perdere perché a nulla tiene vi è la completa sofferenza di chi probabilmente fa a pugni con i propri ricordi e piange ciò che non riesce a essere e la forza che non riesce ad avere.
E alla fine allora ci si chiede mestamente perché il personaggio amato dal pubblico abbia preso così tanto il sopravvento da rinchiudere l’uomo in una maschera di ferro impossibile da svelare. Forse perché c’è tanta più infelicità e debolezza in chi si atteggia a distaccato e spregiudicato. Sarebbe bello liberarsi dalla maschera e far vivere il vero se stesso, ma difficilmente si arriva a scoprire chi esso sia. È per questo che tutti noi, in fin dei conti, abbiamo bisogno di una maschera.
L’alcol per Bukowski rappresenta ancora quella maschera pronta a sommergere le difficoltà di una vita in declino e a sostenere la perduta creatività di un artista che ha bisogno vitale di scrivere. Lo trova lì negli scatoloni all’angolo. Tre, quattro bottiglie e via tra litri di alcol. Finisce con un corpo vestito in una vasca da bagno, la notte di Hank.

Gertrude Cestiè 31/03/2016

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