Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 718

"Thanks for Vaselina": catarsi comica e dissacrazione

Se c’è un rischio che ogni drammaturgo deve saper rifuggire e scavalcare con intelletto è certamente la banalità, tentazione a cui è davvero semplice cedere in questi nostri anni saturi e affollati di voci, attraversati con distrazione e letti con arrogante semplicità.

È un rischio contro cui Carrozzeria Orfeo, vero gioiello della drammaturgia pop italiana, è da sempre vaccinata. La compagnia è reduce da un tour de force che l’ha vista in scena per tre settimane consecutive al Piccolo Eliseo, secondo un curioso ordine cronologico che va dal più al meno recente dei loro ultimi tre lavori: Cous Cous Klan, Animali da Bar e Thanks for Vaselina.
Instancabili hanno continuato ad animare il circuito della scena romana portando sul palco del Teatro Tor Bella Monaca il primo testo della trilogia che li ha consacrati sull’olimpo della nuova scena drammaturgica italiana.
Thanks for Vaselina è un intelligente e sfacciato sguardo sulla devastazione umana, su quelle esistenze perennemente in bilico tra salvezza e precipizio, che sembrano essere state private, sin dal principio, di quella famigerata seconda opportunità che la vita offre.

La drammaturgia, scritta da Gabriele Di Luca e trasferita sulla scena anche da Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi, ha la forza di dissacrare con cinica violenza verbale, e non, i luoghi comuni che abitano il nostro tempo e che si ripropongono nelle contraddittorie personalità dei protagonisti, figure riuscitissime e inclassificabili, vittime e carnefici di un’esistenza che le rende tanto condannabili quanto comprensibili.

Anche in questo caso, come in Animali da bar, un luogo, e uno soltanto, è il contenitore di cinque geografie umane. L’appartamento di Fil, infatti, è l’unico spazio che garantisce la condivisione e la salvezza per queste solitudini umane ripiegate su se stesse.
Fil, cinico trentenne disilluso, è amico e coinquilino di Charlie, convinto anticapitalista attivo nella strenue e ossessiva difesa di qualsivoglia diritto, che sia civile, ecologista o animalista; la loro quotidianità li vede responsabili di un sistema di coltivazione e distribuzione della marijuana, infatti vogliono esportarla dall’Italia al Messico come chiaro segno di polemica contro gli USA che hanno distrutto le piantagioni messicane. Ad abitare la casa c’è anche Lucia, madre di Fil, perennemente sull’orlo di una ricaduta nei torbidi abissi del gioco d’azzardo. Ma a complicare tutto arriva Wanda, ragazza goffa e sovrappeso appena uscita da un corso di autostima, è proprio lei a diventare il corriere per lo smercio illegale dei due ragazzi. Intanto riappare Annalisa, padre di Fil, da anni scomparso e ora diventato un transessuale invischiato in una setta religiosa.

C’è tutto in Thanks for Vaselina: ci sono i luoghi comuni declinati nell’assurdità, nel cinismo e nell’esasperazione, ci sono i demoni con cui combattiamo ogni giorno, c’è la violenza e la sua reiterazione, ma soprattutto c’è una corda tesa in perfetto equilibrio tra ironia e tensione drammaturgica. È proprio la convivenza di questi due aspetti complementari, capaci di esistere solo quando dosati con sapiente cura, a determinare la perpetrazione dell’effetto catartico nello spettatore, nonostante questa purificazione attenga alla sfera del tragico. Non è un riso amaro quello che provoca Thanks for Vaselina, anzi, è un riso sfrenato perché libera l’io dello spettatore dai suoi aspetti più bui e trattenuti che invece vivono senza alcun limite sociale o filtro morale nei protagonisti della storia.
I cinque personaggi riescono a dire e a desacralizzare tutto ciò che la società ci ha insegnato a controllare con rigore.

Gli attori (Di Luca, Setti e Tedeschi coadiuvati da Beatrice Schiros e Francesca Turrini) occupano e attraversano la scena secondo una geometria dello spazio calcolata con esattezza, si muovono quindi in una libertà controllata che li porta a reiterare spesso gli stessi sketch, alimentando ancora di più la percezione cinematografica della messa in scena.
L’uso delle luci si rivela davvero sapiente per il suo potenziale allegorico - infatti luce e ombra si alternano secondo lo stesso principio di equilibrio che regola comicità e drammaticità - rivelandosi la perfetta proiezione concreta e visiva di buio e luce dei personaggi. È nelle zone d’ombra, infatti, che si nascondono le loro ferite non curate e lasciate bruciare al sole.

Nel ritmo incalzante di queste vite desolate c’è pur sempre uno spiraglio di bellezza ed è Fil a portarlo, il più cinico e disilluso di tutti che, dopo aver condannato l’intera umanità, si lascia andare a un gesto di sensibilità e speranza che rimette in circolo la vita, facendoci sentire quei personaggi ancora più vicini, disgraziati e sfaccettati.

Visto il 30 gennaio 2019 al teatro Tor Bella Monaca

Diletta Maurizi 01/02/2019

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM