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Al teatro Brancaccio “La Vedova Allegra” va al Massimo

Dal Teatro Al Massimo di Palermo al Teatro Brancaccio di Roma il passo è breve. A prescindere dalla strana coincidenza per cui Brancaccio sia uno dei più (tristemente) celebri quartieri del capoluogo siciliano, "La Vedova allegra" è una produzione che sembra fatta apposta per approdare sul grande palcoscenico della capitale. La Compagnia di Operetta del teatro palermitano, infatti, non ha badato a spese, mettendo in scena un'opera dal fortissimo impatto spettacolare. Tre diverse scenografie (una per ogni atto), decine di costumi sforzosi e accurati, una piccola orchestra, quattro cantanti lirici, un corpo di ballo al completo, attori e comparse. Insomma una produzione di tutto rispetto per rendere omaggio all'operetta di Franz Lehár, una delle più apprezzate e rappresentate di sempre.Vedova2

Il perno del progetto è Umberto Scida, regista e interprete istrionico, definito non a caso “il re dell'operetta”. La sua presenza è tanto forte da piegare al suo volere l'opera originale. Anche se, nella sostanza, la vicenda resta immutata, così come le musiche.
Siamo a Parigi ma quasi nessuno dei personaggi è francese, bensì sono i frequentatori connazionali dell'ambasciata Pontevedrina. Il barone Mirko Zeta tenta di trovare un nuovo marito compatriota alla ricchissima vedova Hanna Glawari per evitare che la sua fortuna milionaria venga estromessa dalla banca del piccolo stato di Pontevedro (Montenegro). Intorno a questa vicenda si intrecciano le solite questioni amorose ed equivoci di ogni sorta, tra donne “allegre” ma “oneste” e mariti ingenui e cornuti.
La differenza maggiore sta proprio nella centralità del personaggio di Niegus, interpretato, per l'appunto, dallo stesso Scida. Questo semplice impiegato è il braccio destro di Zeta, una sorta di Arlecchino, squattrinato, affamato e pasticcione, ma anche scaltro e opportunista. In questa versione, Niegus da personaggio secondario passa in primo piano, prendendo in mano i fili non solo della trama, ma dello spettacolo stesso.

All'inizio del secondo atto, addirittura, Scida si concede una lunga pausa in cui interrompe la narrazione, conversando con il pubblico, come un presentatore o un stand up comedian. e chiedendone la partecipazione. Un intermezzo spiazzante ma molto apprezzato dagli spettatori, una parentesi che dà nuova linfa all'intera opera e che avvalora con una inattesa ironia la parte finale dello spettacolo, che, fino al primo atto, non era mai uscito dai canoni.
Parti recitate, ballate e cantate si alternano sul palco con il giusto ritmo. Le celebri musiche di Lehár fanno cantare gli appassionati, gli intermezzi recitati fanno ridere i meno avvezzi alla materia e i balletti coreografati da Stefania Cotroneo lasciano indifferentemente incantati gli uni e gli altri. Un miscuglio che soddisfa un po' tutti, amalgamando con gusto elementi classici e moderni.

Carlo D'Acquisto 09/04/2017