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Al Teatro Biblioteca Quarticciolo incrociamo la morte, senza esagerare!

Quattro attori, dieci maschere, zero parole. Nel teatro delle nostre giornate tutto è recitato, tutto è recitabile; gli imprevisti, il caso, la fortuna, la morte ridono con noi, ridono di noi, e le maschere, dopotutto, sono i nostri veri volti autentici da cui non possiamo prescindere. 

Nell'oscurità del teatro Biblioteca Quarticciolo (Roma), il 21 aprile, fa capolino un piccolo spaccato di aldilà ornato da un lampione a neon, un piccolo cactus ed una panchina, perché si sa, le panchine sono state inventate sicuramente da chi aspettava qualcosa, ed è proprio lì che, seduta elegantemente in attesa, si rende visibile la Morte. Tra il sacro ed il profano prende piede una guerriglia ultraterrena incastonata tra una liturgia funebre e la musica contemporanea, dissacrante. Vediamo alternarsi e giungere sulla soglia che separa la vita dalla fine della stessa, il riassunto ben congegnato di personalità disparate e plausibili che tentano di sfuggire, di domandare, di sfidare, di accattivarsi l'unica grande certezza che abbiamo in questa vita, ovvero la morte. Una Morte che vorrebbe esclusivamente svolgere la propria mansione, il proprio essere, la propria occupazione come fosse un lavoro d'ufficio. Una Morte spesso vessata e sbeffeggiata dalla vitalità dei personaggi in scena, che tentano di abbracciarla o di scappare, di crearne un contatto, di trapelare nel silenzio per scardinare il destino assegnatoli, come se ognuno 30825028 10216126279699865 133398262 odi noi stesse imparando a convivere con il fato, con l'eternità.
I quattro interpreti, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza, capitanati dalla regia di Riccardo Pippa, si muovono con ironia e senza proferir parola, tra le braccia indissolubili della sorte e tra le righe impresse nero su bianco della poetessa Wisława Szymborska, in una ballata che sposa e contrappone la nostra cultura contemporanea simboleggiata da personalità rivoluzionarie come Woody Allen, l'espressionismo di Otto Dix, il simbolismo della maschera e dei gesti, mai casuali, sempre ritmati e il divertissement dei cartoon più irriverenti della televisione.
La vera forza ciclonica di Sulla Morte, Ma Senza Esagerare! è una profonda trama che lega e crea contatto con chi osserva, ponendo al centro sempre e comunque l'umanità, dipinta grottescamente nel suo essere difettosa, viziata, prepotente, accattivante, ricca di fascino surreale, in tutte le sue disfatte, colpi a vuoto e tentativi ripetuti da capo.
Un connubio esemplare, brillante, in cui nessuno sa dove andare, persi tra i pavimenti del palcoscenico e le strade della fatalità, scivolando in ognuna di quelle maschere di cartapesta vivide, corrugate, segnate dal tempo e dall'esperienza, espressive come fossero volti in carne ed ossa: perché infondo lo sono, infondo lo siamo.

22/4/2018 Giorgia Groccia

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