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Un Lino Musella gigantesco e le lettere di Eduardo: poesia terrena

FIRENZE – Quello messo in scena da Lino Musella è un Eduardo uomo, terreno, non le sue tragedie popolari dei quartieri napoletani ma la sua lotta quotidiana con i soldi, con i debiti, con le banche, con la burocrazia, con il teatro, nel teatro, per il teatro, la sua battaglia per la dignità della sua città. E se ne sente tutta l'amarezza, ma mai la rassegnazione, nelle lettere, lette alla vera scrivania dell'autore di “Natale in Casa Cupiello”, inviate dalla fine degli anni '50 per far rivivere il San Ferdinando, quello che sarebbe stato sangue e lacrime, sua croce e delizia, ma anche soddisfazione e felicità e responsabilità, per il Maestro. Chi meglio di Musella poteva portare in scena Eduardo in questo “Tavola Tavola, chiodo chiodo”? Le tavole del palcoscenico e i chiodi per fissarle, l'artigianalità del fare teatro, le mani, la fatica, i polpastrelli, il sudore non soltanto il genio e la creatività e le idee delle drammaturgie. Senza travestimenti, infingimenti, modulazioni vocali, baffetti posticci. 04_ridotta.jpgMusella si fa transfert delle sue parole scritte, passaggio e megafono in una sorta di seduta spiritica dalla quale emerge un uomo piccolo ma solido, tenace, ossuto che sembra lottare contro i mulini a vento dell'amministrazione, dei fondi alla cultura, nell'indifferenza generale, non un uomo solo al comando ma un uomo solo contro le intemperie che non si è lasciato abbattere ma che giorno dopo giorno, come sabbia nella clessidra, è stato un po' mangiato lentamente dai problemi, dalle preoccupazioni, dalle ansie del lavorare per ripianare i debiti per far tornare, dopo i bombardamenti, a far risplendere quello che ancora oggi è il suo teatro. Tutt'oggi, sul bandone del teatro, davanti alla piazzetta, appare la sua immagine iconografica disegnata e sembra che ci sia ancora a proteggere gli dei del palcoscenico, gli spettatori, e sembra sia ancora lì dentro quelle pareti e palchetti e poltrone, e che la sua anima non se ne sia mai andata da quei luoghi.

Lino Musella ha sicurezza da vendere, classe cristallina, raffinatezza, è un giocoliere, un funambolo senza personalismi o egoismi scenici né da mattatore, preciso e morbido non schiaccia con la sua presenza il testo, non ne fa una macchietta, mai impacciato né impallato dal gigante al quale dà voce, in una prova d'attore eccelsa, di quelle che vorresti non finissero mai. Siamo fortunati ad avere la possibilità di vedere certe performance attoriali, di poter godere di tanta bellezza, di tanto accurato lavoro di sottrazione, di tanta maestria e umiltà. Lino picchia sul legno a metà tra un fabbro e un ciabattino e inizia questa celebrazione laica. Questa “Tavola tavola” (progetto di Musella e di Tommaso De Filippo; prod. Elledieffe, Tavola-tavola.jpgTeatro di Napoli; visto al Teatro di Rifredi) è un inno al mestiere dell'attore, una lode alla scena, una lezione di teatro, aperta, sincera, commovente, totale, comprensibile, materica senza svolazzi pindarici con tante perle lanciate senza la prosopopea di sentirsi guru né tanto meno Maestro: “Il giorno di riposo è la morte” o ancora “Che cos'è il teatro? E' il disperato sforzo dell'uomo di dare un senso alla vita”. In scena la scrivania, il camerino e il plastico del teatro, le tre anime: la scrittura, l'attore e il sognatore visionario che non si arrende (“non abbiamo una lira ma siamo i più ricchi di tutti”) che aveva immaginato e poi realizzato il suo chimerico progetto.

C'è un amore spasmovp3E882SVNwWLnB4.jpgdico, e doloroso, per il teatro ma anche per la gente, per il popolo, “voglio biglietti accessibili a tutti”, senza infarcirsi troppo la bocca con la tanto abusata parola “cultura”. Il ritratto che emerge di Eduardo è quello di un intellettuale illuminato schietto sofferto. Musella costruisce un rito e ogni rito che si rispetti ha bisogno di candele e di fuoco salvifico e purificante in un testo semplice e profondo, semplicemente emozionante. Ci sono le lettere toccanti al figlio Luca, quelle ad Andreotti, la lettera di Pirandello, le molte alle banche o alla SIAE, alla madre come alla moglie, al ministro o ai carcerati. Da oggi, grazie ad un Musella autentico lancinante immenso, Eduardo è ancora di più patrimonio di ogni italiano con le sue frasi iconiche passate al nazional popolare e permeate e stratificate nelle generazioni come “Adda passà 'a nuttata” o “Te piace 'o presepe?”. Eduardo non è solo Napoli, è di tutti.

Tommaso Chimenti 12/02/2023

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