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“Il problema non sta nelle forme vecchie e nuove, ma nella capacità di esprimere liberamente quello che uno ha dentro”. La libertà dell’artista cos’è se non comunicare tramite un testo, un oggetto o un gesto ciò che si prova? Il Gabbiano di Anton Čechov è un’amara riflessione sulla ricerca di questa libertà. 

Luigi Siracusa, allievo regista del II anno dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, con il suo studio Sulla Riva di un Lago – tratto da Il Gabbiano per il "Progetto Čechov", saggio degli allievi a cura di Giorgio Barberio Corsettiaccoglie lo spettatore in un mondo inquieto e surreale. La ricostruzione del molo occupa in lunghezza la sala del Teatro Studio “E.Duse” di Roma ed un fitto banco di nebbia, che ne cela la profondità, alimenta negli occhi di chi guarda l’idea che possa essere infinito. Il giovane regista siciliano ci introduce così in un sogno, alimentato dai suggestivi canti dell’interprete Cecilia Bertozzi e dall’accompagnamento live del musicista e compositore Luca Nostro che, con voce e melodia, riescono a guidare le nostre emozioni, e così la visione, in una sorta di atipica narrazione.

La nota attrice teatrale Arkadina (Zoe Zolferino), con suo figlio Kostja (Lorenzo Ciambrelli), è in visita nella tenuta di campagna del fratello Sorin (Giovanni Scanu). Kostja è un giovane drammaturgo ed approfitta dell’incontro per mettere in scena un suo spettacolo con protagonista Nina (Carlotta Gamba), un’aspirante attrice di cui è invaghito, spingendo così l’amica Maša (Caterina Rossi), innamorata di lui, a sposare un uomo che non apprezza, Medvedenko (Diego Parlanti). La giovane e bella Nina si innamora però di Trigorin (Michele Enrico Montesano), uno scrittore affermato (amante di Arkadina) che, prima di andar via, le promette che si rincontreranno presto. Dopo due anni si ritrovano tutti alla tenuta di campagna: Nina è diventata attrice, lei e Trigorin si sono lasciati e Kostja, sempre più sconfortato e depresso, decide in quell’occasione di togliersi la vita.Progetto Cechov 

L’intera opera è il racconto di un sogno, quello del successo artistico e di come l’arte e questa bramosia di affermazione influiscano sulla vita. Il lago, sulla riva del quale assistiamo alla vicenda, è la rappresentazione proprio di quel sogno e Nina ne è profondamente attratta “come un gabbiano”. Perché è questo che rappresenta simbolicamente il gabbiano: quella libertà artistica tanto ricercata dai protagonisti, quella che Nina o Arkadina provano quando recitano e Trigorin e Kostja quando scrivono. Ma il giovane e tormentato Kostja, proprio sulla riva di quel lago, porta all’amata Nina la carcassa di un gabbiano che lui stesso ha ucciso. Lo ha ucciso perché essere un artista è più di un mestiere, perché come dice Trigorin “è una vita da cani”: cosa c’è di così meraviglioso nel non riuscire a smettere di scrivere? Nell’esserne ossessionati? Nina non riesce ancora a comprendere come l’arte possa distruggere la loro vita, come possa rendere così insoddisfatti perfino nel successo. Ma quella giovane donna che ha “passato tutta la vita sulle rive di questo lago”, dopo esser scappata di casa per fare l’attrice ed aver scoperto di non essere poi così brava, finirà in quello stesso vortice di ossessione e delusione. E quando il sogno diviene incubo, quando ci si ritrova stretti in questa morsa, le scelte sono solo due: resistere come Nina, che sopporta e va avanti, o arrendersi come Kostja, che sceglie di liberarsi nella resa. L’allievo regista Luigi Siracusa – avvalendosi del brillante cast di allievi del II anno di recitazione dell’Accademia “Silvio d’Amico” – mette meravigliosamente in scena un’interpretazione chiara, suggestiva e potente dell’opera di Čechov: un’analisi del rapporto tra l’amore, l’arte e la vita, rappresentati in quell’atmosfera di sogno, surreale ma tangibile, che solo il Teatro può ancora creare.

Silvia Piccoli 04/03/2019

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