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Un successo “divino” verrebbe da dire: dal 26 dicembre, data di debutto di Santo Piacere - Dio è contento quando godo al Teatro Brancaccino, Giovanni Scifoni ha abbracciato un successo dopo l’altro, facendo ridere e coinvolgendo il pubblico di ogni età, persino parte del clero, presente, divertito, in sala.
Replica dopo replica, si è arrivati a mercoledì 10 aprile: nuova data al Teatro Brancaccio, chiesta a furor di popolo, del resto, vox populi, vox dei.
E si, sempre a Dio, alla fede si torna perché è questo il fulcro dell’ispirazione dell’attore romano.
Una fede e un Dio che sono connubio felice e non un diktat minaccioso, specie nella sfera della sessualità, argomento scottante per la comunità cattolica.
Un grande crocifisso su cui sono poggiati i vestiti di scena che di volta in volta Scifoni indossa, un inginocchiatoio e una pila di libri, una scenografia semplice, evocativa, ma che rimane sullo sfondo, lasciando spazio all’interpretazione appassionata dell’attore, che la regia di Vincenzo Incenzo esalta.
Giovanni Scifoni, infatti, è il protagonista assoluto, si trasforma in diversi personaggi, tra storia e presente: salta, balla, crea vite.
La sessualità viene affrontata a partire dall’istinto ancestrale di ogni uomo, rappresentato da uno Scifoni ominide che non riesce a distogliere lo sguardo dalla bella ragazza (Anissa Bertacchini, ballerina) che attraversa il palco: un "istinto alleato" si dice, che va riconosciuto e assecondato, declinandolo, però, nelle più nobili definizioni per cui l’uomo è nato. download
E’ la natura umana, infatti, nella sua più intima, ma anche comune dimensione che Giovanni Scifoni mostra, provando a raccontare sé stesso alla scoperta del sesso, conducendo il pubblico nell’atmosfera anni ’80 in cui molti possono riconoscersi, tra le divertenti e innocenti “verità rivelate” tra bambini, i libretti sull’educazione sessuale di Lupo Alberto distribuiti nelle scuole, l'irresistibile Cannelle, la testimonial delle Morositas, le prime volte, ma anche quell’attenzione e il richiamo della fede, rappresentato da don Mauro, fedele confidente, sempre pronto a dispensare consigli e seminari di ogni tipo per la buona condotta cattolica.
Si, però “alla fine tutto se strigne attorno e’ mutande” dice Scifoni, è vero, ridendo, ciò che l’attore cerca di spiegare è questo irrefrenabile desiderio dell’uomo al piacere di provare piacere, ma l’acutezza del testo di cui l’attore è anche autore, è che non si esaurisce tutto a quel mero istinto primordiale e soprattutto, che il piacere non è una colpa e Dio su questo non fa ammenda.
L’interpretazione delle Sacre Scritture sul piacere carnale dell’essere umano è stata fraintesa, originando una morale severa e una vita insana di privazione per l’uomo credente: a dimostrarlo l’insospettabile egiziano Rashid-Scifoni che afferma come Origene di Alessandria, commentatore della Parola di Dio, abbia male interpretato la parola ebraica tavlin, che vuol dire parola di Dio, appunto, definendola come "antidoto" alle passioni, mentre, in realtà, grida con entusiasmo l'attore, tavlin è anche “spezia”.
La parola di Dio è spezia che dà vivacità alle passioni, non le mortifica.
E’ questa la ricetta giusta, il condimento dell’anima che realizza l’uomo nel suo rapporto con Dio ma, prima ancora, con sé stesso.
Così, l’amore puro, vivo, diventa quella luce che non smette mai di brillare, rappresentata da una piccola lampadina che scende sul palcoscenico, tanto piccola quanto calda, in grado di fare luce anche quando la vita sembra incastrarsi nella sua umanità e richiede forza, coraggio, cura: è l’emozione del commovente ballo finale che racconta l'amore dei genitori di Scifoni, che trasmette questa sensazione e porta a dire a lui, ma anche al pubblico in sala: “Voglio far anche io l’amore così”.
Un testo intelligente, vivo, profondo, come l’autore- attore che lo porta in scena, un Giovanni Scifoni disinvolto, entusiasta, felice nella sua professione e nella sua fede pura, mai maliziosa o inquisitoria.

Noemi Riccitelli  11/04/19

 

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