Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 685

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 681

Oggi avrebbe 80 anni. Nel maggio del ’68, ne aveva 30. In quasi quarant’anni di attività, ha avuto il tempo di comporre numerosi tasselli centrali, nel ricco puzzle del cantautorato italiano, di raccontare storie con la delicatezza e l’eloquio della poesia, forte di un’incrollabile raffinatezza musicale. È Fabrizio De André, artista amato e apprezzato quanto, talvolta, contestato, frainteso. È naturale, quando un genio compositivo si scontra con una qualsiasi cultura, persino se è quella in cui nasce, che questa reagisca in maniera complessa e composita, come lo stesso compositore è cresciuto reagendo irregolarmente al proprio contesto sociopolitico.
Ma, oggi, cosa è cambiato nella nostra percezione di De André? Più difficile ancora, qual è la percezione che ne hanno le generazioni nate senza di lui? Alla Sala Umberto di Roma, il 21 maggio, per l’appunto, ottantesimo anniversario della sua nascita, lo spettacolo musicale del gruppo Mercantinfiera2.0 spazia tra questa domanda e un’altra, opposta, istanza. Da una parte, la ricerca della sua eredità, della sua resiliente attualità, dall’altra la (legittima) celebrazione malinconica di una personalità musicale e poetica la cui eco risuona ancora nei cantautori odierni.

Foto ninè ingiulla e mercantinfiera 2.0.jpgIl tributo che ne risulta, intitolato “Anche se il nostro maggio…”, è una composta riscoperta della sua opera, con particolare attenzione letteraria al disco post-’68, il suo “Storia di un impiegato” arrivato nel 1973 dopo una riflessione lunga un lustro sull’annosa, e mai sanata, questione dell’impegno politico. Districa i nodi del disagio del cantautore, nell’accettare tale impegno, o del parziale sollievo nell’universalizzarlo, il doppio intervento dello scrittore e critico Stefano Gallerani.
Il gruppo musicale, invece, guidato dalla voce faberiana di Ninè Ingiulla, si produce in un’inevitabilmente crudele ma puntuale selezione di brani, dai classici ai più controversi, eseguiti tutti con fedeltà e ricchezza di arrangiamenti (d’altronde, la prima richiede la seconda). La formazione, fortunatamente, lo permette: Giovanni Baldin a tastiere e chitarra, Eleonora Elio al violino, Maurizio Leone ai fiati, tanti e tali che gli valgono una nota di merito, Paolo Pasqualetti alle chitarre e mandolino, Giovanni Romio alla batteria e Giampaolo Roncoletta al basso.
Allo show, preciso e distinto, forse non guasterebbe un pizzico di energia in più, scatenata dal semplice alzarsi in piedi degli interpreti, stavolta soltanto saltuario. Impossibile, però, non restare convinti da una performance preparata e solida, protesa nel giorno della mancata ricorrenza più alle generazioni nostalgiche che all’esplorazione delle nuove. Dimostra, a ogni modo, il grande coraggio di confrontarsi con un mito titanico e complesso come quello di Fabrizio De André. Lui, ne siamo certi, è ancora lungi dal cessare, ogni giorno, d’essere riscoperto.

Andrea Giovalè 22/05/2018

Il regista Silvio Peroni porta al Teatro Sala Umberto di Roma un testo di Lucy Prebble, pluripremiata autrice inglese tradotta per l’occasione da Andrea Peghinelli. La versione originale di "The Effect" ha debuttato a Londra il 13 novembre 2012 e lo stesso anno ha vinto il Critics Circle Award come Best New Play.

Quattro i personaggi, due uomini e due donne che amano e soffrono in modi completamente diversi: Toby (Alessandro Federico), Lorna (Alessia Giangiuliani), Connie (Sara Putignano, diplomatasi nel 2010 presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico) e Tristan (Giuseppe Tantillo). Sullo sfondo di una clinica dove si fanno test su farmaci antidepressivi si troveranno tutti alle prese con una domanda esistenziale non da poco: cosa ci rende quello che siamo?

"The Effect", in scena fino al 29 aprile, parla di amore, depressione, senso di colpa, contrappone scienza e sentimento, cervello e cuore. Senza dimenticare l’ironia e la tenerezza, il testo affronta con profondità queste tematiche difficili e impegnative, cercando di sviscerarne limiti e presentando spunti di riflessione per possibili ‘soluzioni’.

Connie e Tristan si offrono come cavie per testare un farmaco antidepressivo, sotto la supervisione di due medici dalle visioni diametralmente opposte, legati da un passato sentimentale, Lorna e Toby. L’una, a sua volta affetta da disturbi depressivi che non vuole ammettere né affrontare, ritiene che la depressione non possa essere curata coi farmaci; l’altro, completamente fedele all’oggettività della scienza, ai sintomi del corpo, alla veridicità della chimica, è di opposta convinzione. L’esperimento sul farmaco viene minato alla base quando tra i due volontari nasce un amore, variabile che i due psichiatri non avevano messo in conto. Ma quello tra Connie e Tristan è un sentimento puro o in qualche modo indotto dalla cura farmacologica che stanno portando avanti? La loro è passione istintiva o solo l’effetto dell’innalzamento della dopamina nei loro corpi? La questione si complica quando viene insinuato il dubbio che uno dei due non stia realmente assumendo il farmaco, bensì una versione placebo…The effect 2

L’«Essere o non essere» di shakespeariana memoria si palesa quando, come moderni Amleto della medicina, prima Toby e poi Lorna entrano in scena con un cervello tra le mani e nei loro monologhi si coglie tutta la fede scientifica dell’uno e la fragilità dell’altra. Se la risposta di lui è tutta nella natura fisica e chimica delle cose, per lei la natura emozionale ha un valore ugualmente non trascurabile, anzi superiore.

La regia di Silvio Peroni punta tutto sul testo: la scenografia è spoglia, asettica ed essenziale, pochi oggetti sul palcoscenico e uno schermo sul fondo che proietta le analisi cliniche dei pazienti (i mg di farmaco assunto, i battiti del cuore, le reazioni dei loro cervelli). "The Effect" si regge unicamente sui dialoghi/monologhi dei protagonisti. La seconda parte soffre di eccessiva lentezza, ma si coglie tutto il lavoro fatto sugli attori per far emergere il senso profondo della parola e di ciò che cela la storia: quel lacerante dubbio sulla consistenza di un amore, il dualismo tra verità e illusione, sintomo ed effetto collaterale. Non manca qualche riferimento all’etica (o presunta tale) che c’è dietro il sistema delle case farmaceutiche. 

Ma il nodo essenziale è: perché ciascuno di noi può dichiararsi se stesso? Cosa ci rende ciò che siamo? Fino a che punto siamo il frutto di condizionamenti esterni? I quattro protagonisti non scioglieranno la spinosa questione e nemmeno gli spettatori, ma usciranno dalla sala consapevoli di averci provato. 

Fine dell’esperimento.

Giuseppina Dente
20/04/2018

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Digital COM