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ROMA – Dopo la non esaltante visione del superincensato e iperpremiato “Fa'afafine”, per il quale si era gridato al miracolo, al capolavoro e ci si erano spellate le mani (soprattutto certa critica e grazie anche alla pubblicità, evidentemente controproducente, data dalla protesta e dalla raccolta firme per bloccarne la messinscena nelle scuole), ho voluto provare l'ebbrezza del nuovo lavoro di Giuliano Scarpinato per confermare il primo giudizio o se ribaltarlo completamente. E' bello, e interessante e positivo, qualche volta, darsi anche torto, sconfessarsi, mutare le certezze in possibilità, tenere sempre la porta aperta al cambiamento, all'incertezza, al dubbio. Non è capitato, almeno stavolta, almeno in questo caso. Ci siamo dati ragione, abbiamo convalidato la prima impressione.MG_3370-copia.jpg

Se nel primo caso era il gender fluid il tema cardine, un bambino che una mattina si sentiva maschio e il giorno dopo femmina, stavolta, in “Se non sporca il mio pavimento” (prod. Wanderlust + CSS, in collaborazione con Rifredi, Corsia OF, Industria Scenica, Angelo Mai), è una storiaccia da cronaca nera di pochi anni fa con una coppia omosessuale che assassina brutalmente una donna; l'area e l'universo di riferimento sta sempre lì, sospesa in quel preciso ambito. Similare l'ambientazione scenica con la riproposizione di una cameretta, i famigerati video proiettati sul fondale, questa sensazione come di stare sott'acqua, in apnea, aiutata dal suono amniotico e ovattato, da pesci che fluttuano. Potrebbero essere l'uno il continuum dell'altro, ovvero il bambino problematico e viziato di “Fa'afafine”, cresciuto in una famiglia da lui bullizzata e succube e repressa e schiavizzata, che nella tarda adolescenza si trasforma nell'assassino di “Se non sporca il mio pavimento” (da una frase di un testo di Heiner Muller a sottolineare la freddezza, l'indifferenza, l'anaffettività, il glaciale). Ipotesi forzata.
Scarpinato fa sempre riferimento alla realtà, alla cronaca; se nel primo caso la storia era quella di Alex White e del suo nucleo familiare, stavolta è all'omicidio Rosboch (provincia piemontese, 2016) dal quale si prendono le mosse. Un adolescente che vuole tutto e subito, un Lucignolo manipolatore bipolare e isterico che tiene al guinzaglio, attraverso il sesso, un cinquantenne parrucchiere omosessuale (Gabriele Benedetti schiacciato e compresso dal ruolo, lontano dalla sua consueta forza, distante dalle sue corde emerse soprattutto con Fabrizio Arcuri), dal quale si fa fare regali, 20190411_111830.jpge la supplente dalla quale si fa consegnare i risparmi di una vita, oltre 200.000 euro.
Non è ormai più la questione del cosa, ma è sempre il come si affrontano le storie. E non è un dettaglio da poco. Qui tutto sembra andare verso la superficie, l'estetica, la forma, invece che tentare una profondità sul già detto, un'analisi sotto la buccia, una riflessione sotto la scorza. Quasi diventa ai nostri occhi un eroe maledetto, di quelli da dark plot, questo ragazzino allucinato e perennemente rabbioso (Michele Digirolamo, attore feticcio di Scarpinato, sempre sopra le righe) intento a voler spendere soldi non suoi, comprare abiti, ballare sfrenato, mettere la musica ad alta gradazione di decibel, senza mostrare alcuna empatia né pietas verso questa insegnante (Francesca Turrini sottotono, con il freno a mano tirato e impostatissima rispetto a come l'abbiamo ammirata con Carrozzeria Orfeo), sola senza affetti e che vive con la madre (Beatrice Schiros in video, sempre pungente, cinica e arcigna, sue caratteristiche che non molla neanche qui, per fortuna non si è fatta snaturare) alla quale fa da badante, circuita e depredata, illusa, usata, abusata, sfruttata.1077_10573_foto.jpg
Ci sono stereotipi come zucchero a velo e banalità q.b., non mancano (come potrebbero) Madonna e Whitney Houston ritmate e ballabili, e tutto vira, magicamente, sul macchiettistico, diventa un fumettone psichedelico che fa collassare il senso del fatto di cronaca, lo tradisce e lo travisa, sposta l'attenzione, ne trasforma il contenuto in forma, si perde nei dettagli ma soprattutto perde di credibilità. Vince il grottesco, tutto è caricato fino all'iperbole, manierato e barocco e smodato, in questo gusto ipnotico al sapore di un trash avariato, avendo il potere di riuscire a ridicolizzare, nell'ammasso colorato e kitsch, anche feroci e atroci delitti come quello della Rosboch.
Quando si tocca il reale, e soprattutto la cronaca nera, si dovrebbe stare doppiamente attenti a maneggiare con cura il materiale che si ha a disposizione. Tutto trabocca, tracima, deborda fino ad ottenere l'effetto opposto, il boomerang dell'assuefazione, un'enfatizzazione esagerata e sproporzionata che annulla la vera vittima ed esalta il Male.

Tommaso Chimenti 18/04/2019

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