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«Una persona sentimentale pensa che le cose dureranno. Un romantico ha la disperata certezza che non lo faranno» (Scott Fitzgerald).
"Almost, Maine" è per romantici - non per sentimentali.

È un freddo venerdì sera ad Almost, una non ben specificata cittadina nello sconfinato stato del Maine: qui le storie di diverse persone si intersecano. Paradossi e solitudini si mescolano, mettendo a nudo incomunicabilità e sentimenti primordiali, dall’amore alla paura. “Almost, Maine” è un testo che pulsa di umanità vera: lo spettacolo, tratto dal bestseller di John Cariani, è stato presentato in prima nazionale al Teatro Trastevere dalla Compagnia Indipendente dei Giovani Umbri, nell’ambito del "Festival Inventaria".

Questa Festa del Teatro Off (iniziata a maggio, si concluderà il 10 giugno) vede la direzione artistica di Pietro Dattola: giunto alla sua ottava edizione, il festival si svolge in quattro diversi teatri e quattro sono le le sezioni del concorso (Spettacoli, Monologhi/Performance, Corti, Demo). Le proposte selezionate sono quest'anno 21 (oltre 400 le candidature pervenute) a cui si aggiungono cinque proposte fuori concorso. Per la sezione Spettacoli concorrono "Loop", "Una vita a matita", "55:20", "Cresci bene. Cresci forte" e, appunto, "Almost, Maine". Cinque sono le storie di cui questo spettacolo si compone.

Glory l'escursionista (Giulia Trippetta, diplomata nel 2015 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, perfetta in questo così come nei ruoli seguenti) ha il cuore spezzato in 19 pezzi, a causa del marito Wes che prima la lascia per un’altra e poi, prima di morire in un incidente, la rivuole con sé. Si reca nel Maine per dirgli definitivamente addio, dinanzi all'aurora boreale. Ci penserà East l'aggiustatutto (Jacopo Costantini, a cui si deve la traduzione del testo dall’inglese) a rimettere insieme i cocci di quel cuore ferito, per superare definitivamente la morte di Wes. «Aggiusto tutto, è il mio mestiere» le dice dopo averla baciata.
Poi c’è Steve (un divertente e credibile Ludovico Rohl) che non sente il dolore e per questo scrive su dei quaderni tutto ciò di cui dovrebbe avere paura, dagli orsi alle ragazze carine. Ma come fare con le cose che fanno male, ma che non lasciano lividi e non fanno uscire sangue, ad esempio un’asse da stiro? Ci penserà la bella Marvalyn (una deliziosa Silvia Zora) incontrata nella stireria di una pensione a farglielo capire.Inventaria 2018

Chad e Randy (unica storia che vede protagonisti due uomini, L. Rohl e J. Costantini) sono amici di sventura, due sfigati che fanno a gara a chi rimedia l’appuntamento più disastroso. Ma in fondo, è davvero questo che vogliono? Trascorrere i venerdì sera con ragazze qualsiasi quando in realtà potrebbero divertirsi insieme? «Deve esserci una cosa che ha un senso e che ti fa stare bene, sennò che ci stiamo a fare?»: scopriranno di essere questo l’uno per l’altro.
E poi ci sono Gayle (S. Zora) e Lendall (J. Costantini): lei gli chiede indietro tutto l’amore che gli ha dato e a sua volta gli restituisce tutto l’amore che lui le ha dato. Le dimensioni dei sentimenti dell’uno sembrano molto maggiori di quelli dell’altra, ma in realtà più che di dimensioni è questione di forma: la forma scelta da Randall è un anello di fidanzamento, quello tanto atteso da Gale.
Infine ci sono Phil (L. Rohl) e Marci (G. Trippetta): un matrimonio giunto al capolinea nel giorno di un anniversario dimenticato costringe i due alla dolorosa presa di coscienza che le cose tra loro non vanno più bene. Dovranno, con triste sincerità, ammettere: «Non mi diverto più con te».

"Almost, Maine" verrà riproposto anche a Milano, il prossimo autuno: la Compagnia, infatti, si è aggiudicata il primo premio al Concorso Anna Pancirolli, borsa teatrale dedicata alla memoria di una giovane attrice milanese scomparsa all’età di 24 anni.Quelle che sembrerebbero storie sconnesse tra loro vengono tenute insieme da piccoli accorgimenti di regia (a cura di Samuele Chiovoloni): mentre East bacia Glory sullo sfondo c’è giàMarvalyn che stira e che li guarda sognante come fossero i protagonisti di un film. Phil è così distante e poco attento, come gli rimprovera Marcy, perché ha tanto lavoro in più da fare per Chad. E il tetto rotto che nomina quest’ultimo è proprio quello della casa di Marvalyn. Questi spaccati di vita senza tempo e senza spazio sono ritratti in cui ci si può riconoscere, l’ordinario si mescola allo straordinario e il pubblico, senza sesso e senza età, si diverte, viene coinvolto in quelle dinamiche di provincia, in cui si intrufola e si emoziona. Alcuni personaggi entrano in scena dal fondo della sala, attraversando la platea, abbattendo la distanza col pubblico: è come trovarsi tutti insieme nella piazza di un paese dove, a turno, qualcuno si alza per raccontare la propria storia e condividerla col resto dei cittadini. 

Giuseppina Dente 28/05/2018

È una serata particolare quella che ospita, il 17 giugno, il Teatro Studio Uno durante l’ottava edizione del Festival Inventaria evento organizzato dalla compagnia DoveComeQuando e creato da artisti per artisti nei teatri off della capitale. In scena è la volta di “Giorgio”, monologo scritto, interpretato e diretto dal regista e performer Nexus. Fin qui, sembra tutto nella norma. Ma in attesa dello spettacolo come di consuetudine, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino, c'è un dettaglio che stupisce un po’. Mentre Laura Garofoli (attrice e aiuto-regia) si prepara sorridente ad accogliere il pubblico in sala, alcune persone in confidenza le chiedono “come sta?” (domanda che riguarda il performer stesso ndr.). Ed è in pochi secondi che l’atmosfera cambia improvvisamente. Perché sì, quando sulla scena l’attore dimentica il palco e porta se stesso, un’energia indescrivibile si sprigiona dietro e fuori dal sipario. Ciò a cui stiamo per assistere è la storia del rapporto tra l’autore e suo padre dal 1984 al 2008, anno della sua scomparsa. nexus 2
I più vicini dunque sono preoccupati di sapere come lui, pronto a riceverci, stia in quella sera dall’aria frizzantina.
Su una sedia bianca, impegnato a giocare al game-boy, è lui, Giuseppe Gatti da un fisico incredibilmente scolpito che dopo averci fatto accomodare inizia a raccontare la sua storia. E lo fa spalle al pubblico in un primo momento, proprio perché che ci siano delle persone ad ascoltarlo sembra cadere in secondo piano. Quel che lui vuole condividere infatti è indirizzato per primo a se stesso permettendosi così di riportare in vita suo padre tramite ogni parola o intenzione, anche solo per una sera.
Ma il vero punto forte di questa esibizione giace proprio nella sua poliedricità espressiva. Non è solo l’essere umano che accompagna i visitatori nell’oblio della memoria, ma anche tutte le svariate possibilità che lui ha di raccontarsi. E come farlo? Beh, lui lo fa innanzitutto con la break-dance. Il suo percorso iniziato nel ’98, che lo ha visto poi entrare nella crew Urban Force, diviene mezzo efficace per raccontare i momenti di euforia di un bambino in sala giochi o ancora di quello stesso portato dal padre nei boschi per cacciare, quando avrebbe voluto essere altrove. E non finisce qui. Energia allo stato puro intelligentemente utilizzata, poiché scandire quell’ora alternando le fasi parlate a quelle ballate sarebbe stato ancora poco rivoluzionario: ed ecco infatti che arrivano anche immagini, attraverso un proiettore di diapositive sui muri laterali della stanza, o ancora una vecchia tv che trasmette scene del cinema care a chiunque sia cresciuto negli anni ‘80/’90: le battaglie di Gassman ne "L'Armata Brancaleone", il volto disperato di Atreiu in “La Storia Infinita” e altri ancora.
Non lasciatevi ingannare però dall’apparente dinamicità ludica con la quale il giovane Gatti ha voluto parlare di suo padre, tanto spazio rimane per una sincera commozione e una sentita interpretazione di se stesso. E a condurlo nella sua infanzia è una grande ragnatela bianca dietro lui, segno indistinguibile del tempo sospeso, cui con energia strappa i ricordi (come una cassetta rovinata, un walkman con delle cuffie o una divisa mimetica).
Un’esibizione ricca, emozionante e stimolante con un tocco di novità che non guasta mai, quando portata con convinzione. Il Festival è dunque sulla buona strada e si prospetta regalare ancora altre sorprese per i quartieri romani.

Daria Falconi 21/05/18

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