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MILANO – I testi di Bruno Fornasari sono piccole pietre miliari scagliate nel dibattito contemporaneo, ogni volta un argomento scandagliato fin nelle sue viscere più intime, potrebbe essere una conferenza tematica, nei suoi antri più nascosti e poco affrontati cercando un contraddittorio attraverso l'uso dei personaggi. Il suo alter ego in scena e attore-feticcio, Tommaso Amadio, dice che quello del regista milanese, direttore assieme a lui del Teatro dei Filodrammatici, è un “teatro brechtiano”. Ha ragione, in toto. Qualcuno accusa l'autore di “N.e.r.d.s.” come de “La prova” di essere “freddo”. Non è né freddezza né gelidità ma calcolo sì in una drammaturgia che ti porta esattamente dove ha deciso che la riflessione vada e punti, ti prende per mano, è corposa, robusta e muscolare nel mettere sul piatto varie strade fino a farti imboccare, senza per questo dare giudizi di valore o gerarchie, spontaneamente quella che, dall'alto, ha pensato.

c967e52171fd1f3b645b47588992fd9f_XL.jpgE torna spesso la parola “cinismo” ma non è nemmeno questa la definizione giusta, è più che altro un raziocinio, pieno di logica, attorno ad un tema utilizzando gli strumenti degli attori per esplicare i differenti punti di vista e facendoli collidere tra di loro. I suoi testi sono macchine ad orologeria, si incastrano alla perfezione tutti i meccanismi e gli ingranaggi di battute e dialoghi serrati dove la concitazione monta, così come il pensiero, si architetta, si inalbera, si inquieta, cerca il suo opposto per affrontarlo a viso aperto, in campo aperto, mettendo in risalto, al di là di ogni dogmatismo precostituito, di ogni assioma digerito senza dubbio, le problematicità di un ragionamento, i punti interrogativi, le virgole nelle arton56810.jpgquali sei inciampato. E' un procedimento filosofico che a step porta avanti un grande lungo pensiero distillato e frazionato nei tanti suoi interpreti, spezzettato e sbocconcellato nelle figure che compongono il suo mosaico, il suo quadro dove tutto è calibrato, questa composizione nella quale è bello lasciarsi andare e cullare, portare fino alla riva.

Certamente anche “La scuola delle scimmie” (prod. Filodrammatici, visto al Teatro Elfo Puccini) sprizza d'intelligenza e di acume, come sempre le sue drammaturgie sono molto riconoscibili, hanno uno stile anglosassone, ironia british e grande velocità, ci pone davanti non tanto alla stupidità degli altri quanto alle nostre sacche di conservatorismo, di bigottismo, di reazionarietà che vivono in ognuno di noi. Fornasari non mette mai in ridicolo i personaggi dei quali ha bisogno per mostrare la sua tesi ma gli dona pari dignità di esistenza. Ci sono le fazioni, le squadre, è la tensione scenica che fa scatenare il conflitto dialettico, il fuoco alimenta e sposta la razionalità di una società che non si muove mai linearmente ma a strappi, ad elastico e ha continuamente bisogno, per non inaridirsi come una fonte ormai secca, di qualcuno che rimetta in discussione anche i suoi valori più accettati e condivisi e creduti inalienabili.2213_vanessaporta.jpg

Nella “Scuola delle scimmie” (cast come sempre d'eccezione con un amalgama che se perde il ritmo affievolisce la resa concettuale dello scontro) sono due le dimensioni temporali che vengono ad incastrarsi, senza incagliarsi, a sovrapporsi, a interpolarsi, in un gioco di rimandi tra il 1925 (vicenda reale) e il 2015 come a dire che l'uomo può anche andare su Marte ma rimane sempre lo stesso e ciclicamente (vedi i terrapiattisti o il convegno a Verona sulla famiglia) ritorna prepotente sugli stessi nodi. Da una parte, nella scena novecentesca, un professore in un piccolo paese di uno Stato contadino e rurale statunitense che ha cercato di insegnare ai suoi studenti che discendiamo, secondo la lezione darwinista, dalle scimmie e non siamo il frutto dello sputo di Dio sul fango mentre ci modellava a sua immagine e somiglianza. Dall'altra, nel filone del Duemila, un altro professore al quale, in collisione con la preside, viene chiesto di occuparsi soltanto della sua materia, scienze biologiche, e non fare “politica” né religione quando in realtà ha soltanto immesso dei virus e dei geni di riflessione nei suoi ragazzi.

2414_vanessaporta.jpgLe scene si spostano l'una dentro l'altra con l'ausilio di pareti semoventi che sembrano aprire e chiudere a soffietto i quadri, come si può aprire e chiudere il cervello a qualcosa che non capiamo ma tentando di comprenderlo o trincerandoci dietro veti difensivi e teorie complottiste. Sono milioni tutt'oggi le famiglie negli Stati Uniti che fanno studiare a casa con un precettore (la parola fa pensare a Leopardi...) i propri figli proprio perché alla scuola pubblica insegnano l'evoluzionismo darwiniano al posto del creazionismo. Quasi fossimo dentro un “Ritorno al Passato”. In qualche modo ci sono dei nessi anche con “L'ora di ricevimento” di Stefano Massini. Ma l'intento di Fornasari e soci è cercare punti di contatto e punti di rottura, capire le falle, le crepe, insinuare dubbi e germi di implosione senza aggressività. Infatti, anche i personaggi che sono in antitesi con il pensiero moderno e contemporaneo non vengono mai descritti, né additati né fatti oggetto di epiteti, con pennellate negative o con tratti abietti. Non ci sono buoni e cattivi, ma c'è chi vuole ancora pensare e chi forse è stato ammansito e addomesticato tanto da impigrirsi e adagiarsi sulla soluzione più semplice, più conforme, più conservatrice.

Purtroppo oggi, con la regola dell'uno vale uno (Margherita Hack o un cittadino medio possono parlare parimenti di astrofisica) e i social 2.0 (tutti possono rispondere su qualsiasi argomento, anche senza averne i requisiti e le competenze, a chiunque altro anche ad un esperto del settore in questione) hanno creato enormi danni. A questo aggiungiamoci le fake news e gli algoritmi dei social network che ci fanno sempre vedere e seguire quello nel quale già crediamo, a forza di like e pollici, alimentando e rafforzando giorno dopo giorno la nostra idea ed escludendo il pensiero contrapposto.

In scena vediamo un grande albero della vita (non quello dell'Expo; ci ha ricordato maggiormente “Il diario di Eva” di Mark Twain con una punta della serie tv “13”) mantecato con 1920x560_LA-SCUOLA-DELLE-SCIMMIE.jpgWelcome to the jungle” dei Guns N' Roses a tambureggiare. Tra un velocissimo cambio di scena e l'altro, con non dei bui ma delle penombre quasi a voler sottolineare un continuum e un passaggio osmotico tra le dimensioni, tanti gorilla (alla mente ecco quelli di Antonio Latella in “Veronika Voss” o quella di Francesco Gabbani al Festival di Sanremo del 2017 con “Occidentali's Karma”) spostano oggetti e allestiscono (le scene sono di Erika Carretta). Fede cieca o dubbio, fanatismo o domande, Bibbia o Scienza, Inquisizione o Progressismo, Credere o Capire, trasformare la gente in scimmie ammaestrate o pensare che discendiamo dalle stesse?

Si maxresdefault.jpgride, e molto, di noi, delle nostre fragilità, delle nostre debolezze, della nostra finitezza: Tommaso Amadio, il professore di oggi, mette nelle sue scene sempre carattere e quello sguardo che apre, con la sua recitazione sfrontata, ora alle dinamiche d'intrattenimento sarcastico adesso a quelle più concettuali, sorprendente Giancarlo Previati nel doppio ruolo di zio ruvido e diretto ma franco e tagliente e di padre ora ferreo adesso ambiguo, il giovane Luigi Aquilino, il prof novecentesco capace di pathos e puntiglio, una sicurezza Sara Bertelà dirigente scolastica arcigna e severa, determinato Emanuele Arrigazzi nel doppio ruolo, personaggi agli antipodi, il giornalista dissacrante e assennato e il padre della studentessa bieco e violento, senza dimenticare la brava e sprint Camilla Pistorello, allieva provocante e provocatoria e fidanzata compressa nelle regole sociali e patriarcali, e l'elettrica e accesa Silvia Lorenzo, artista e compagna del professore dei giorni nostri. La frase: “Si può dire il mio Dio, il tuo Dio, ma non si può dire la mia Scienza, la tua Scienza”.

Tommaso Chimenti 05/04/2019

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