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FIRENZE – Inevitabilmente leggendo il titolo ti viene in mente la divina Loredana Bertè: “In alto mare per poi lasciarsi andare sull'onda che ti butta giù e poi ti scaglia verso il blu”, o ancora meglio, il verso più crudo e brutale: “In alto mare come due uccelli da ammazzare, piuttosto che tornare giù per dirsi non si vola più”. Ma “In alto mare” può essere la Costa Concordia arenata sugli scogli all'Isola del Giglio (l'incubo di quel naufragio ce lo abbiamo ancora davanti agli occhi) o gli infiniti sbarchi dei migranti sulle nostre coste, o ancora una Love Boat d'amore e passione. Che poi la letteratura musicale ha spaziato dal “Mare d'inverno” della Bertè a “Com'è profondo il mare” di Dalla, e ancora “Un'estate al mare” di Giuni Russo e “Mare mare” di Carboni, per non parlare di “Sapore di mare” di Gino Paoli e “Una rotonda sul mare” di Fred Bongusto, per finire a “Gente di mare” di Raf e Tozzi, e “Una giornata al mare” di Paolo Conte, “Voglio andare al mare” di Vasco e “Mi ricordi il mare” di Daniele Silvestri. Fare una compilation sulle sea songs è fare un tuffo nel blu dipinto di blu. Ci ha segnato tutti profondamente nell'adolescenza “Il vecchio e il mare” di Hemingway. Dopotutto dal mare nasce la vita, in definitiva siamo fatti per l'80% d'acqua e nasciamo nuotando nel liquido amniotico. L'acqua, anche per chi non sa nuotare, è il nostro elemento, volenti o nolenti.24837263_10155310903393823_4033239128019222703_o.jpg

In questi anni la Compagnia del Giallo, fondata nel '05, è diventata un'istituzione con un grosso seguito, un cult, tanto da arrivare alla 640esima replica tra tutti i gialli originali messi in scena. Nel tempo sono nati “Morte a 78 giri”, “Cena di classe”, “Cattive azioni”, “Veleni medicei”, “Hotel Regina”, "Delirio e Tormento", “Circo-lo vizioso”, “Il primo quadro”. La novità è questo “In alto mare”: il format consolidato prende inevitabilmente spunto dal genio di Agatha Christie. I commensali diventano fin dal primo momenti partecipanti attivi all'opera, sono immersi sulla scena e nella storia, protagonisti delle vicende, testimoni oculari prima e detective successivamente. Ogni tavolo è un ispettore che deve, dopo discussioni e conciliaboli interni, stilare un referto approfondito, spiegare chi è stato l'assassino, il movente e con quali modalità ha compiuto l'efferato delitto. Tra una portata e l'altra (stavolta la location era il ristorante “L'Approdo” in via Aretina) i sei della compagnia si presentano e ci fanno sentire l'atmosfera di una nave da crociera: il comandante, il suo secondo, la direttrice del piano Superior, due avvenenti clienti, il detective. Ognuno di loro avrebbe potuto avere un valido motivo per eliminare l'ucciso, ognuno di loro ha un passato torbido da nascondere, da celare, da mettere sotto il tappeto.26850452_10155430928388823_1988739849790430535_o.jpg Intanto arrivano sui tavoli documenti vari (questa parte è sempre molto curata e piena di attenzioni), da articoli di giornale a fotografie di ritrovamenti, all'autopsia ad elementi che potrebbero servire per la risoluzione del caso, oppure fuorviare le indagini. Ogni tavolo fa capannello per mettere sul piatto le proprie idee e convinzioni discutendo animatamente, ma a bassa voce per non farsi ascoltare dagli altri tavoli a fianco. E si crea una bella complicità tra sconosciuti, cadono i tabù e le formalità e si crea una comunità di persone sorridenti che, con il pretesto di un omicidio, finto, teatrale, esorcizzante, si conoscono, si scambiano e passano una serata (quattro ore che volano letteralmente) in armonia per tentare di assicurare alla giustizia un pericoloso assassino e cercando di primeggiare sugli altri per portarsi a casa l'ambito diploma di superpoliziotto risolutore di casi spinosi.

Un prodotto semplice (ma poi mica tanto perché la scrittura è originale, certo su una griglia predefinita ma pur sempre c'è dell'inventiva piena di colpi di scena e trovate) che evidenzia ancora una volta in più, se ce ne fosse bisogno, la necessità intima delle persone di stare insieme, di confrontarsi, di parlare dal vivo, in presenza come si dice adesso e non attraverso schermi impersonali. Non ci si può annoiare alla Cene con Delitto della Compagnia del Giallo. L'impeccabile Alberto Orlandi è il comandante della grande nave, inappuntabile, preciso, serio nella sua uniforme candida e splendente che sembra uscito da una fiction, l'istrionico Fulvio Ferrati è il suo braccio destro con la vocazione al canto (a proposito, si cantano le hit del passato a tema marinaro, momento fresco e divertente che coinvolge tutti, passando il microfono da un tavolo all'altro), la determinata Silvia Moneti è la direttrice del piano con accento torinese, la remissiva e timida Chiara Ciofini e cena-delitto-capodanno-2022-2.jpegl'esplosiva Carolina Gamini sono le due commensali amiche del defunto, e infine arriva l'ispettore Samuel Osman che svolge le indagini e propone gli interrogatori (il pubblico può fare domande agli accusati e incalzarli fino a farli confessare o cadere in contraddizione) e ci fa da guida per districarci nelle nebbie complesse di movimenti, tempistiche e moventi. Questi sei sono l'ossatura della compagnia che negli anni però ha allargato le sue maglie fino a coinvolgere, e far lavorare, altri venticinque attori fiorentini.

Quello che è estremamente accattivante e incuriosente di tutto il progetto è anche il riuscire a trascinare dentro la giostra di personaggi e omicidi il pubblico facendo interpretare piccoli ruoli che danno pepe a tutto il racconto: ecco infatti il tenore, il calciatore, l'attrice, lo chef, il medico, presi tra il pubblico che, con un minimo di canovaccio, improvvisano la loro parte riscaldando l'atmosfera e facendo da collante tra il gruppo teatrale e la platea. Siamo ogni giorno subissati da notizie di omicidi ma soprattutto dalle tante trasmissioni che, con la parvenza del servizio pubblico e dell'informazione e del diritto di cronaca, non fanno altro che alimentare la morbosità e la voglia di squallido gossip: come, la cosiddetta “tv del dolore” che va a razzolare nel fango e nelle miserie della cronaca nera nostrana cercando quello che non c'è per alimentare voci e sospetti per fare un'altra puntata la settimana successiva. Qui invece siamo di fronte alla grazia, alla leggerezza, alla pennellata, al garbo. A distanza di quasi vent'anni dal primo tentativo la Compagnia del Giallo e le sue cene con delitto funzionano ancora splendidamente perché hanno i tempi e i modi oltre che ancora passione e voglia di divertire divertendosi.

Tommaso Chimenti 31/03/2023

FIRENZE – Prendete il miglior Derrick e miscelatelo con La Signora in Giallo, aggiungete un po' di Colombo e il piatto è servito. Già perché il mix vincente da quindici anni (quasi 600 repliche, numeri monstre) per La Compagnia del Giallo è abbinare l'investigazione e le indagini poliziesche con una buona cena. La formula è consolidata, gli interpreti ormai pronti e adattabili alle più disparate circostanze, le storie sempre nuove piene di particolari e dettagli intriganti e pepati. Interattività è la parola d'ordine con il pubblico che (ogni tavolo è un investigatore; i commensali devono parlarsi e confrontarsi e in epoca di smartphone è già una conquista) nella seconda parte, dopo che la vicenda è stata presentata, interviene e prende la parola per porre domande e incalzare i personaggi sulla scena per farli sbottonare e svelare altarini e aspetti piccanti.

Stavolta il dramma in salsa gialla si chiama “Delirio e Tormento” (scritto da Samuele Ferretti). Siamo su un set di una fiction nostrana, di quelle a basso budget, e in questo ci ha ricordato la serie “Boris”, dove il mondo del jet set, dello star system e dei luccichini fa rima invece con artigianalità,50416184_10156305459743823_61167992221728768_n.jpg rapporti ambigui, manovalanza sottopagata. Non è tutto oro quello che brilla. Alla platea di invitati (qui nelle vesti di comparse nel gioco del teatro nel teatro) viene mostrato il dietro le quinte, questa sorta di “Rumori fuori scena” con litigate, intrighi, amori sottobanco, accordi, il tutto velato dall'ipocrisia e dai sorrisi falsi. Tutto ruota vorticosamente attorno alla figura losca e ambigua del produttore: un regista omosessuale (Marcello Sbigoli eccentrico e verdonesco) che in passato avrebbe dovuto adottare un bambino quando faceva coppia con il produttore, l'assistente di produzione tuttofare (Carolina Gamini, qui autoironica e timida tra Mafalda, i Peanuts e Ugly Betty che vorrebbe girare documentari impegnati e fidanzata con il figlio del produttore, un attore (Samuel Osman nella parte del gassmaniano impostato) chiamato sul set perché un altro, molto più bravo, si è misteriosamente infortunato, un'attrice (Chiara Ciofini nelle vesti della vamp svampita) amante del produttore stesso. Tutti potrebbero essere i colpevoli come nei migliori romanzi di Agatha Christie.

La soluzione non è affatto semplice né scontata, ci vogliono abilità e menti fini e soprattutto attenzione ai particolari che durante la serata vengono messi sul tavolo con una minuziosa e precisa documentazione degna della Polizia Scientifica: rilievi, fotografie, piantine della scena del crimine, articoli di giornali riguardanti il passato dei protagonisti, addirittura chat telefoniche messe agli atti o spartiti musicali. E poi un commissario sardo (Alberto Orlandi tiene le fila con ironia e maestria, cuce le 55448520_10156447271888823_5294468501459697664_n.jpgscene, presenta, fa da collante) che ci ha ricordato tanto un Lino Banfi d'annata. Bisogna andare a fondo alla vicenda (chi indovina vince un'altra cena per un'altra serata con La Compagnia del Giallo), è necessario essere svegli e brillanti, appuntarsi le risposte, mettere in relazione circostanze e orari, mettere in difficoltà i testimoni e gli accusati, scardinare le loro difese, fare breccia nel loro senso di colpa, scavare nei loro enigmatici, impenetrabili e spesso burrascosi passati.

Più il pubblico è frizzante e attivo, più è spigliato ed elettrico e più la serata riesce, risulta fresca, vivace, veloce e divertente per attori e platea. Dopo tanti Simenon e Poirot, dopo Scerbanenco e Marco Vichi, dopo CSI e Dexter, dopo True Detective e Sherlock, L'Ispettore Coliandro e Magnum P.I., Fargo e Luther, Broadchurch e The Bridge, è il momento di tirar fuori l'investigatore che è in noi, dopo tante serie televisive sprofondati sul divano dicendo “Io lo sapevo”, “Io lo avevo detto”, è l'ora di prendere la balla al balzo e scoprire l'assassino, le modalità dell'omicidio e, necessariamente, anche il movente. Ma sono tanti piccoli dettagli disseminati che fanno la differenza e rendono La Compagnia del Giallo un qualcosa a sé stante nel panorama del teatro d'intrattenimento. L'ironia brillante è sparsa tra le righe, tra le virgole, ad ogni angolo. Unica regola: lasciarsi trasportare. Curiosity killed the cat ma senza il sale della curiosità siamo aridi e già morti.

Tommaso Chimenti 26/03/2019

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