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ROMA - Non c’è probabilmente pena più amara per un artista che cadere nell’oblio insieme alle sue opere ed essere così dimenticato dai posteri. A questo triste destino ha rischiato di andare incontro Osip Mandel’štam, oggi considerato niente meno che il maggiore poeta russo di tutto il Novecento ma ferocemente osteggiato e perseguitato nel corso degli anni Trenta durante le Grandi purghe di Stalin fino a trovare la morte in un gulag alla fine del 1938. La sua produzione letteraria sarebbe dovuta sparire insieme a lui ma la fedele moglie Nadežda ne imparò a memoria i versi e li custodì in segreto per più di vent’anni, prima di poter avviare il processo di riabilitazione del marito e del suo lavoro. Questa straordinaria storia di amore, morte, sacrificio, resistenza e riscatto è al centro dello spettacolo La cena, scritto e interpretato da Giovanni Greco, diretto da Massimo Roberto Beato e portato in scena dalla Compagnia dei Masnadieri dal 24 al 27 gennaio allo Spazio 18b.
Cena 2È una gelida notte di dicembre del 1968 quella in cui l’anziana Nadežda, nella sua angusta casa, si trova a celebrare il macabro anniversario della perdita del caro Osja in una apparente solitudine. Apparente perché sono molti i fantasmi del passato che vengono a far visita a Nadežda e che si uniscono a quel “banchetto in tempo di peste” ed è difficile dire se siano solo voci nella sua testa o entità reali; ciò che è certo è che tra di essi c’è pure lo stesso Osip e, complice l’insonnia della donna, l’interminabile attesa dell’alba diventa un’occasione perfetta per ripercorrere quel tempo lontano, forse perduto, ma non dimenticato.
Nel doppio ruolo di Nadežda e di Osip – la cui presenza in scena è espressa unicamente da una voce fuori campo – Giovanni Greco mette in piedi uno spettacolo di indiscusso fascino, evoca efficaci suggestioni e conduce il pubblico in un viaggio a ritroso che rende omaggio sia al poeta e alla bellezza intrinseca dei suoi componimenti sia alla moglie, la cui sfaccettata figura genera un interesse particolare per il compito svolto come prezioso tramite tra passato, presente e futuro e per il suo ammirevole spirito di abnegazione, frutto di un legame sentimentale con il marito così radicato da manifestare, a tratti, un carattere quasi ossessivo. Lo spiccato umanesimo di fondo incarnato da Nadežda, per quanto edificato su una vicenda carica di malinconia, assume il ruolo di perfetto contraltare alla fredda e spietata persecuzione del regime – orchestrata da colui che di volta in volta è definito con sarcastico disprezzo come «il montanaro del Cremlino» e «l’istanza suprema» –, esplicitando dunque al meglio l’eterna dialettica tra legge e desiderio che sta alla base di ogni storia.
Cena 3Un ulteriore valore aggiunto dello spettacolo è dato poi dal diretto coinvolgimento del pubblico: le dimensioni ridotte della sala dello Spazio 18b contribuiscono a creare una sensazione di piacevole intimità, lo spettatore viene invitato ad accomodarsi vicino alla scena e a interagire in più occasioni con Nadežda, suscitando l’inevitabile dubbio che i veri fantasmi siano coloro che, seduti nell’ombra, ascoltano in silenzio il monologo della protagonista.
Giunto proprio a ridosso dell’ottantesimo anniversario della scomparsa di Mandel’štam, La cena è uno spettacolo di grande spessore, tutto da assaporare, che si interroga sulla funzione e sull’importanza della memoria – individuale prima ancora che collettiva – e che può inoltre rappresentare un ottimo punto di partenza per scoprire la poesia di un autore che merita certamente di essere ricordato.

Francesco Biselli  27/01/2019

(Foto di scena: Luca Tizzano)

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