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GENOVA – “Harry Potter” ma senza magie. “Harry a pezzi” con molti brandelli sparsi a terra. “Harry ti presento Sally” ma senza Sally. Forzando l'originale, “A proposito di Harry”. Ci sono due momenti, all'interno dell'anno solare, dove, dati alla mano, aumentano esponenzialmente i delitti tra le quattro mura domestiche, litigi, separazioni, s'impenna la depressione e soprattutto il numero dei suicidi: l'estate, con la punta agostana, diciamo Ferragosto, e il 25 dicembre. Quest'ultimo è da una parte motivo di bilanci, un altro anno è finito e un altro deve iniziare con i soliti buoni propositi che andranno disattesi, la sfera religiosa, che tu sia credente o meno l'atmosfera dell'essere più buoni ci attanaglia facendosi sentire in difetto e perennemente in deficit, e, dulcis in fundo, l'aspetto capitalistico, i regali che, in tempo di disoccupazione e precariato, possono creare non poche notti insonni. C'è chi per le ferie e i regali si indebita, per quell'apparire di facciata, per il controllo sociale che inevitabilmente gli altri, scrutandoci e confrontandosi con noi, attuano, per quella parvenza di felicità che però, purtroppo, non si può comprare.169900-4c3f6ce9f6aa60e4d5189f89cc9fa086-1554710657.jpg

Il Natale ha quella pannellata patinata di festa, di campane, di jingle, di rosso, tutti ci si dovrebbe volere un po' più bene, così dice la pubblicità, ci si dovrebbe ritrovare e abbracciare e baciare. Ma i tempi sono quello che sono tra cinismo, disgregazione delle famiglie, individualismo, insoddisfazioni d'ogni sorta da tagliare a fette. Siamo sempre più soli, un po' per scelta consapevole, un po' per scelta degli altri, chiusi nei nostri loculi a vedere serie tv come forsennati addicted, attaccati ai nostri profili social che ci tengono collegati a tutto il mondo nel vuoto delle nostre stanze silenziose.

Il Natale di Harry” (testo di Steven Berkoff, come attore ha lavorato, tra gli altri, con Kubrick e Antonioni) è il 25 dicembre di tutti noi, anche senza le sue depressioni, con quell'attesa che monta e poi di colpo svanisce, quell'ascesa di ansia che ci lascia, appena trascorso, in un down prima dell'Ultimo dell'Anno altro picco dove ci dobbiamo divertire per forza e nessuno, puntualmente, lo fa. Un uomo chiuso nelle sue poche stanze, con i suoi pochi oggetti di una vita, a fare la conta dei biglietti d'auguri natalizi ricevuti. Perché sono i biglietti (i pollici blu dei like contemporanei) la cartina di tornasole di quanto sei amato e voluto e benvoluto, biglietti ipocriti e pieni di grandi messaggi che però nella realtà si trasformano in silenzi, vuoti, mancanze, assenze.

Sono i Natale Harry - foto Donato Aquaro  HD-_FFA6710.jpgcinque giorni dicembrini che ci dividono dalla nascita di Gesù ed è proprio una libreria in stile Calendario dell'Avvento (e anche una piccola sedia da bambino, perché Harry tale è rimasto) che ci indica il passaggio del tempo su questa scacchiera con un'unica pedina in movimento (proprio Harry) che però è in stallo, è in quella fase (il celebre “finale di partita”) dove nessuno può più vincere e tutto è bloccato, otturato, vano. Lo stallo degli scacchi inevitabilmente ci fa venire alla mente Samuel Beckett e nella regia, colorata che dosa con segni e musiche le malinconie e il sarcasmo, di Elisabetta Carosio ci sono alcuni riferimenti al drammaturgo di Dublino: la telefonata con la madre aprendo il bidone dell'immondizia ricorda appunto il “Finale” con i genitori scheletri che escono dai grandi contenitori, quell'atmosfera perduta da “Giorni felici”, la cassetta che parte con la voce del protagonista di un tempo che ci porta all'“Ultimo nastro di Krapp”.

Enrico Campanati (nei monologhi si esalta)-Harry è dentro i suoi rituali, le sue liturgie, cerca di autoconvincersi che il “Natale sia un giorno come gli altri” ma il primo a non esserne sicuro è proprio lui, si sente un verme, solo in casa, senza amici, senza nessuno da chiamare, senza una famiglia, una compagna, dimenticato, abbandonato alle sue paure. E ci sono dei rumori di fondo, come l'eco della sua voce che ora gracchia, adesso sembra sott'acqua, ora riverbera ora si moltiplica che ci danno la sensazione di essere dentro un'altra dimensione spazio-temporale dove tutto è già accaduto e Harry sta rivivendo, all'infinito, in loop, la sua discesa agli Inferi, il suo scorticarsi senza soluzione né salvezza. Harry (Campanati, positivissimo, gli dà umorismo e sostanza, pienezza e pasta, sensibilità e umanità) è doppio e si divide tra il sé e la sua coscienza (Grillo parlante) che lottano, cozzano, si scontrano, litigano, si zittiscono a vicenda.Natale Harry - foto Donato Aquaro _FFA6676.jpg

Chiuso nel suo limbo, nel suo Purgatorio tutto sommato comodo ma noioso, inutile, Harry non ha niente che lo lega più all'esterno diviso tra uscire e perdersi nel mondo o rintanarsi (come un hikikomori anziano) nella sua abitazione come un “sepolto in casa”, recluso nel suo eremo di ricordi sbiaditi e per niente soddisfacenti: “In alcuni giorni il mio corpo è tutto una gigantesca verruca. E sarebbe tutto da eliminare”. E' un groppo alla gola: “La mia vita è una merda tanto che nessuno ci si vuole avvicinare”. Gli manca il calore di una compagna, si sente invisibile, dentro di sé ha il Grande Freddo, Una Specie di Alaska lo corrode: “Natale è come rimanere in piedi nel gioco della sedia”. Il dolore è compatto, l'infelicità solida, la solitudine pesante, i sensi di colpa gravosi, insopportabili, robusti.

Visto al Teatro della Tosse, Genova, il 9 aprile 2019.

Tommaso Chimenti 12/04/2019

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