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Alex Ollé ha smontato la Tour Eiffel e l’ha portata al Teatro Costanzi. Dopo “Il Trovatore” del 2017 ambientato ai tempi della Grande Guerra, torna al Teatro dell’Opera di Roma con “La Bohème” di Puccini (nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro Regio di Torino). Il direttore de La Fura dels Baus ha optato per una versione aggiornata, senza veli e senza sfarzo della Parigi odierna. Quasi una risposta alle inchieste che denunciano gli standard di vita della metropoli francese, dove uno studente può anche vivere in ignegnosissimi e attrezzatissimi loculi di 9 metri quadrati, ultima alternativa a chambres de bonne, alcôves e studios – con accento sulla “o”, bien  entendu. La Parigi che viene evocata in scena è quella odierna, poco romantica e poco bohèmien, multiculturale e multietnica, dai cieli ancora più bigi di quelli cantati da Rodolfo a causa dei frequenti pics de pollution. Una città angusta dietro lo sfarzo apparente dei clichés che a Natale si trasforma in una grande vetrina, tra gli addobbi e le luci che invadono le facciate di palazzi e negozi, gli alberi di Place Vendôme illuminati a festa, le grandi esposizioni a tema dei magazzini La Fayette trasformati nell’officina di boheme i quattro amiciPère Noël e i mercatini di Natale che trasformano gli Champs Élysées nel regno del kitsch all’aroma di burro.
Il metallo fa da padrone sulla scena (scene a cura di Alfons Flores, costumi di Lluc Castells, luci di Urs Schönebaum) e con le sue geometrie ricostruisce una città ad alta densità di popolazione dove lo spazio è risorsa rara e preziosa. Sfidando le leggi della fisica, in tali spazi ridotti simil casa di bambole si muovono Rodolfo (chi è? è un poeta 2.0, sua fida penna? il personal computer), Marcello (pittore del tipo incrosta-tele in felpa e blue jeans), Colline (il filosofo con una punta di cinismo e dolcevita) e Schaunard (violoncellista squattrinato, come i suoi amici del resto). È la vigilia di Natale. La combriccola, stile “The Big Bang Theory” ma meno nerd, si riunisce. Con la goliardia e la spensieratezza tipiche dei giovanili ardori, riescono ad evitare il proprietario venuto a riscuotere l’affitto, allestiscono una sontuosa tavola per il santo giorno e si dirigono al Quartiere Latino per festeggiare. Una vicina di casa, la ricamatrice Mimì, non ha più luce, perde la chiave di casa, chiede aiuto a Rodolfo. È colpo di fulmine tra anime innocenti (o forse no: c’è chi ancora discute se Mimì abbia intenzionalmente perso la chiave). Nel quadro secondo si conosce anche Musetta, un’escort in pelle nera aderente e pelliccia rosa appariscente, in una cornice altrettanto degradata e degradante: un Caffè Momus gestito da trans trash in parrucche turchine. Parpignol, poi, è venditore ambulante di palloncini e ciambelle gonfiabili fuori liturgia per il mare. Nei quadri terzo e quarto, rispettivamente alla barriera d’Enfer (la più povera delle banlieue) e in soffitta, le situazioni presentate ritornano estremizzate: Mimì, tisica, si presenta come malata terminale di cancro, con l’inconfondibile testa rasata post chemio, decisamente più prosaica della “gelida manina”.
boheme quatro terzoManca un vero plot, nel senso tradizionale del libretto operistico, così come manca una divisione in atti, cui si preferisce la distinzione in quattro quadri costruiti in perfetta simmetria tra interni claustrofobici ed esterni affollati dove manca l’aria. Mancano pure le arie, e si assiste piuttosto al susseguirsi di ampie arcate di gusto sinfonico. L’assenza, dunque di un ostacolo in carne ed ossa all’amore dei giovani amanti non risulta problematica in un’opera che si propone, per drammaturgia e partitura, come un aggiornamento della tradizione lirica italiana sulla scia della grande musica sinfonica romantica d’oltralpe. Il Puccini spettatore del “Parsifal”, definì l’opera di Wagner estasi pura: non sorprende, quindi, nemmeno l’impiego del Leitmotiv. Ne “La Bohème” la vera coppia protagonista-antagonista è composta da due entità immateriali i cui effetti, materiali, si ripercuotono persino nelle vite meno epiche ed eroiche: la gioventù e il tempo, nemico inarrestabile e implacabile. “Con Mimì svanisce l’illusione di un mondo fatto di sogni di futuro. Mimì impone il presente, la necessità di fare i conti con la realtà”, si legge nelle note di regia. Tenendo in considerazione il carattere trasversale di tematiche sempreverdi come l’amore, il tempo, la malattia, la gioventù e l’assenza di riferimenti a eventi storici specifici, l’invito all’attualizzazione è praticamente implicito. Ollé trova, senza troppa fantasia, la chiave per restituire lo spirito dell’opera e lo spirito del tempo. Il nostro, della crisi economica, delle ondate migratorie e dell’allerta terroristica. Nelle premesse interessante, nei fatti crudo e votato a un ostentato naturalismo. In tempo di guerra tra poveri, al teatro e all’arte cosa si chiede, denuncia o evasione? Ollé demanda alla poesia della musica il compito consolatorio, mentre la sua fotografia degli Anni Duemila lascia l’amaro in bocca.

 

Visto il 12 giugno 2018 (in occasione dell’Anteprima Giovani)
Ph. Yasuko Kageyama

Alessandra Pratesi
24/06/2018

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