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Attenzione

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Diretto e interpretato da Massimo Popolizio, "Un nemico del popolo" di Henrik Ibsen è andato in scena al Teatro Argentina dal 20 marzo al 28 aprile 2019, nella traduzione di Luigi Squarzina. Dramma ancora attuale che indaga i temi del potere, della corruzione e della responsabilità, è la storia del conflitto politico e morale tra due fratelli: il dottor Thomas, che scopre l’inquinamento delle acque termali della sua città, e il sindaco Peter Stockmann, che intende assecondare i sogni di benessere della maggioranza per salvaguardare i propri cinici interessi. Grande successo di pubblico, lo spettacolo ci è apparso talmente importante e problematico da meritare una riflessione approfondita, nella forma di un confronto tra posizioni antitetiche, l’una positiva e l’altra negativa, sulla drammaturgia, la regia, la recitazione e la messinscena.

Maria Paiato

Drammaturgia

Perché sì

Popolizio intercetta, con lucida introspezione e acuta ironia, la dirompente attualità di un testo di fine Ottocento, che mette in risalto i paradossi e le criticità del sistema democratico. Il tutto rendendo la narrazione immediata e accessibile a un pubblico eterogeneo.

Perché no

Nel riprendere l’ormai classica traduzione di Luigi Squarzina, l’opera di Popolizio mantiene una sostanziale fedeltà all’adattamento ma, attraverso alcuni discutibili tagli, finisce per sacrificare gli elementi politicamente più densi in favore di una eccessiva semplificazione. Tale scelta, dettata dal desiderio di attualizzare l’opera e di renderla più fruibile al grande pubblico, toglie complessità e profondità a uno dei passaggi fondamentali dello spettacolo, vale a dire il monologo del protagonista che si svolge durante l’assemblea popolare. Se l’intento era quello di rendere più agile il testo, sarebbe stato preferibile intervenire sulle parti precedenti, dove a volte il ritmo cala sensibilmente. Inoltre, se il ridimensionamento di certi personaggi marginali (tra cui i figli piccoli del protagonista) appare opportuno, Popolizio ne sviluppa un altro non molto convincente, Mister George, un menestrello afroamericano che riprende e amplia la figura dell’ubriaco che di tanto in tanto interviene nella scena dell’assemblea: questo personaggio, come in generale tutta la scelta di spostare l’ambientazione nel contesto rurale statunitense di inizio Novecento, denuncia il tentativo fin troppo didascalico di avvicinare i temi del testo di Ibsen al contesto sociopolitico contemporaneo.

Regia

Perché sì

La regia – curata dallo stesso Popolizio – organizza lo spazio attraverso una disposizione razionale e schematica, sia per gli elementi scenografici che per i movimenti adottati dagli interpreti, la cui prossemica evidenzia uno studio attento, approfondito, ricercato.

Perché no

La regia si contraddistingue per una propensione all’eccesso didascalico in ogni sua componente: dallo schematismo rigido dei movimenti dei personaggi in scena a una serie di trovate di comodo, come per esempio il ricorso all’audio registrato di una folla per dare l’impressione che la platea sia parte integrante dell’assemblea cittadina. Allo stesso modo risultano posticci e superflui gli inserti audiovisivi che inframmezzano i vari atti – al cui interno compaiono anche delle citazioni non necessarie dei brani musicali – e tra cui possiamo ricordare la sequenza che mostra i batteri visti al microscopio per rimandare all’inquinamento della sorgente termale.

Recitazione

Perché sì

Popolizio dimostra grande padronanza del palcoscenico: con poche e misurate espressioni del volto dà vita a un personaggio di grande spessore senza risultare banale e ripetitivo: la sua bocca può arricciasi in un ghigno o in un sorriso, lo sguardo può essere malvagio e, in un attimo, carico di onestà. Il ruolo del suo antagonista è interpretato da Maria Paiato, per la prima alle prese con un ruolo maschile: veste, infatti, i panni del sindaco Peter Stockmann con sorprendete naturalezza, senzarisultare mai caricaturale o stereotipata nella caratterizzazione del personaggio. Completano il cast Tommaso Cardarelli, Francesco Ciocchetti, Martin Chishimba, Dario Battaglia, Maria Laila Fernandez, Paolo Musio, Michele Nani, Francesco Bolo Rossini, Cosimo Frascella, Alessandro Minati, Duilio Paciello e Gabriele Zecchiaroli. I numerosi attori danno vita ad una recitazione corale di alto livello, la cui gerarchizzazione tematica comporta una caratterizzazione ben definita dei personaggi.

Perché no

Nonostante la buona resa del cast – tra cui spicca su tutti l’eccellente prova di Maria Paiato nella parte del sindaco –, la recitazione nel complesso esaspera i toni grotteschi del testo originale (forse influenzata dal modello di Ronconi, caro al regista) fino a toccare i limiti della parodia. Questi personaggi così interpretati ricordano più le caricature di Honoré Daumier che i personaggi duplici e sottilmente ambigui del dramma ibseniano. L’intento del regista era probabilmente quello di enfatizzare la decadenza e la falsità del gioco delle parti borghesi; tuttavia, in questo modo si finisce per appiattire gran parte della tensione drammatica svelando anzitempo la natura artefatta della morale dei personaggi e riducendo, a tratti, lo stesso protagonista a sterile caricatura di se stesso.

Massimo Popolizio e Maria PaiatoMessinscena

Perché sì

Marco Rossi, curatore della scene, ha effettuato la scelta di spostare l’azione in un luogo non specificato dei sud degli Stati Uniti è valorizzata da una messa in scena attenta e minuziosa. Tanto i costumi scuri ed austeri e la scenografia essenziale e versatile , quanto la colonna sonora blues, riescono a connotare efficacemente il contesto storico-sociale proposto da Popolizio. Le proiezioni video, da un lato riconducono alle sperimentazioni teatrali di fine anni ottanta, dall’altro alle più attuali tendenze di intermedialità della fruizione artistica anche in un teatro dalla struttura tradizionale. L’abbattimento della quarta parete, attraverso l’utilizzo di voci registrate, coinvolgono lo spettatore in prima persona dandogli l’impressione di esser chiamato in causa direttamente dagli attori.

Perché no

I costumi si rivelano adeguati alla resa del contesto borghese e della dialettica tra il singolo e una collettività chiusa e soffocante, in particolare per la scelta di privilegiare gli abiti scuri che a tratti rendono le figure che si muovono intorno al protagonista una sorta di grottesco coro. Ma, al contrario, il minimalismo scenografico risulta più funzionale ai cambi di scena che non ad aggiungere un senso ulteriore alla rappresentazione. Ancor meno convincenti appaiono i rimandi visual al tardo Far West americano e l’utilizzo di brani musicali country-blues che stonano con il resto della narrazione.

 

Perché sì a cura di Piero Baiamonte, Francesco Carrieri, Francesco Caselli, Valeria De Bacco, Maria Vittoria Guaraldi

Perché no a cura di Francesco Biselli, Emanuele Bucci, Lorenzo Ciofani, Federica Cucci, Silvia Piccoli, Noemi Riccitelli

3-5-2019

Una fulminea presentazione, un palco austero, pochi fronzoli e tanta “ciccia” da recitare. In occasione della rassegna Flautissimo Massimo Popolizio porta nella sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica un reading – l'idea nasce da una lettura su Radio 3 – un monologo, una soggettiva, un’opera in musica, un’esemplare prova d’attore. È tutto questo “Pilato”, drammaturgia musicale del secondo capitolo del “Maestro e Margherita”, capolavoro del Maestro russo Michail Bulgakov pubblicato postumo nel 1967.
Si tratta di una vera e propria soggettiva del procuratore della Giudea Ponzio Pilato, a colloquio con il “mite predicatore” Jeshua Ha-Nozri, il Gesù Cristo di Bulgakov. Popolizio dà corpo e voce a un Pilato nevrotico, madido e furioso, “egemone” – così vuole essere chiamato dall’arrestato – e impaurito, tremulo e accecato da una terribile emicrania. È proprio questa la forza del testo – complicatissimo, frenetico e tenuto con maestria spaziale dall’attore – che presenta un personaggio tutt’altro che invincibile, bensì vulnerabile, umano. I cambi d’umore di Pilato sono repentini e il Premio Ubu li mette in scena con realismo carnale, contrapponendoli al timbro più docile dell'interlocutore Jeshua e al capo del Sinedrio Caifa, “ipocrita” dantesco, sommo sacerdote che afferma di voler salvare l'assassino Bar-Raban.
Il cranio calvo di Pilato è un punto di riferimento visivo che accompagna i ponti musicali orientaleggianti di Stefano Saletti, perfetto contrappunto per l’infervorato racconto di Popolizio. L’elemento della testa, i cori epici di Barbara Eramo e il suono degli strumenti grecizzanti di Saletti e Pejman Tadayon riecheggiano inoltre le diverse opere cinematografiche dedicate al Cristo e al tema religioso, da “Ben Hur” ai film sui Vangeli fino alle varie Passioni. Un dialogo tra uomini la cui aura sacrale diventa tragica e ricorda l'incontro di Dioniso e Penteo nelle Baccanti di Euripide.
L’arabesco musicale accompagna una disputa morale che si fa battaglia fisica e sfida di resistenza tra un filosofo di pace che predica l’esistenza di una verità e un sanguinario funzionario – metafora della censura sovietica che perseguitò Bulgakov negli anni Trenta – che si fa omuncolo difendendo, di quella verità, l’assenza.

Daniele Sidonio 29/12/2015

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