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Se l’abito fa il monaco, certamente Villa Medici, palazzo del Cardinal Ferdinando, può contare su un’ottima base di partenza. Anche in fatto di teatro. È successo con un’iniziativa della direttrice dell’Académie de France, Muriel Mayette-Holtz, che ha messo in scena “Il gioco dell’amore e del caso” di Marivaux. Sono passati quasi trecento anni da allora, ma sulla villa al Pincio il tempo sembra essersi congelato. I bassorilievi della facciata interna della Villa e i giochi di volumi e di linee dell’architettura che si offre alla natura (e al pubblico) in punta di piedi, come il Mercurio della fontana, si presta alle esigenze registiche e scenografiche. Se le finestre sono vere finestre, le fontane diventano il luogo di convegni amorosi: una frons scenae sotto mentite spoglie.
Marivaux Occhionero e RivaLa commedia è riproposta in una versione bilingue particolarissima e godibilissima nella quale si scivola da una lingua all’altra con savoir-faire e nonchalance. Sono i giovanissimi e talentuosi attori diplomatisi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”: Marina Occhionero nel ruolo dell’altezzosa Silvia e Luca Tanganelli in quello del suo stucchevole spasimante Dorante; Marial Bajma Riva è la servetta Lisetta, vezzosetta anziché no, e Matteo Cecchi è un birichino e pomposo Arlecchino, servo di Dorante che chiude il cerchio degli intrecci innamorandosi di Lisetta. A questi si aggiungono Matthieu Pastore e Gérard Holtz, rispettivamente nel ruolo del fratello e del padre di Silvia, e Antonio Meta come domestico e giardiniere. Il flauto traverso di Margot Mayette, compositrice ed esecutrice, introduce e accompagna l’azione a tempo di minuetto. Oltre i doverosi intrecci amorosi, la trama si complica con un sapiente – quanto prevedibile – gioco degli equivoci, di cui soltanto père e frère sono al corrente (e con loro il pubblico, évidemment). «Il est beau et c’est presque que tant pis» esclama indispettita Silvia, terrorizzata dall’idea del matrimonio. Che sia bello non basta, deve avere un buon carattere il suo futuro sposo, aimable et raisonnable. Silvia ottiene dal padre l’autorizzazione e da Lisetta la complicità per un travestimento: si fingerà domestica per poter scrutare inosservata il suo pretendente. Dorante non è da meno e prende il posto del valletto per poter giudicare indisturbato la sua promessa. Il caso fa il resto: amore a prima vista garantito per le due coppie ignare dei reciproci déguisements, risate assicurate per il pubblico e per i due orchestratori del padre e del fratello. È la versione settecentesca in salsa comica di formule che avranno poi un grande successo nel primo Ottocento, nell’opera buffa e non solo: ritroviamo il pretendente che si finge servo nella “Cenerentola” rossininiana (è il principe Ramiro che si presenta come Dandini il cameriere); ritroviamo il binomio ragione e sentimento cristallizzato dalla penna di Jane Austen in un must della letteratura.
Marivaux Occhionero fontana e TanganelliLe idee registiche e le capacità attoriali non si limitano alla destrezza bi-linguistica: la mimica, le pause comiche e la gestione dello spazio (architettonico più che scenico) completano il quadro. Corteggiamenti pirotecnici a bordo vasca per Lisetta e Arlecchino vestiti da gran signori; salti e piroette per l’Arlecchino di Matteo Cecchi ricalcato sul modello della maschera di Ferruccio Soleri; miele e galanteria per la coppia Silvia-Dorante. L’effetto parodico del mascheramento è sottolineato dai costumi (a cura di Tirelli Costumi): dalle sobrie tonalità pastello per Silvia e Dorante en travesti, agli sgargianti, pacchiani ed esagerati abbinamenti cromatici per un Arlecchino in tricorno e una Lisetta irrigidita in un enorme sorriso, braccia pronte per la riverenza, fiocco sproporzionato in testa. Così pure il tono, che resta aulico per Silvia e Dorante («Che razza di cameriera sei con quell’aria da principessa?»), grottesco per i loro servi. Ecco che «Cara manina grassoccia e rotondetta» è l’esempio sommo delle vette di raffinatezza di cui è capace l'Arlecchino corteggiatore innamorato, mentre inserisce par ici et par là storpiature nella pronuncia delle nasali risultando, alle orecchie del pubblico italo-francese, un Arlecchino mascherato ancor più impacciato e ridicolo.
L’operazione di Mayette-Holtz ha il gusto dell’intrattenimento di qualità, ha il brio composto e leggero delle pièces di Marivaux dietro il quale si cela una missione culturale doppia, perché non solo si offre al pubblico capitolino un assaggio della comicità francese post Molière con l’immancabile maschera dell’Arlecchino, ma si promuove la cultura francese e l’incontro con quella italiana. Che vi sia ciascun lo dice, dove sia chiunque abbia assistito a “Il gioco dell’amore e del caso” a Villa Medici lo sa.

Alessandra Pratesi
26/07/2018

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